DYNAMITE GIRL [1918]

Camminavano verso la stazione con una certa fretta, ma non potevano fare a meno di guardarsi negli occhi. E di sorridere.

Si tenevano per mano e, nella mano libera, ognuno di loro portava una valigia.

Non c’era spazio per le parole. Non c’era nemmeno il tempo.

Tutto era per sguardi e sorrisi. Lo spazio che li separava dalla stazione ed il tempo che rimaneva fino alla partenza del treno.

Lui con i capelli di un nero scurissimo, lunghi, ricci, pettinati all’indietro.

Non passava inosservato. Alto, bello, aitante. E vestito bene, elegante. Cappotto verde scuro con collo di astracan e un berretto di pelliccia.

Lei aveva un cappellino con appuntata una rosa dorata, da cui le spuntava la frangetta.

Piccola e bella. Il viso di una bambina ma con uno sguardo che faceva intuire altro.

Indossava un cappotto scuro su una camicetta di lana scozzese e una gonna marrone.

Stazione di Steubenville. Treno per Chicago.

Tempo finito.

Arrivava l’ora dell’addio. Che doveva essere solo un arrivederci.

I due registrarono uno dei bagagli. Poi, lui l’aiutò a portare l’altra valigia nello scompartimento.

Si salutarono così, con uno sguardo, un sorriso, qualche parola sussurrata, un bacio lunghissimo.

Lei salì sul treno. E lui se ne andò per la sua strada.

Il treno andava.

La ragazza nello scompartimento si mise seduta a leggere il libro che si era portata per alcune ore. Se ne andò a mangiare verso le 23 e poi tornò a dormire.

La ragazza si svegliò all’alba per colpa del freddo che invadeva il locale. Scese dal letto e scoprì che il riscaldamento, chissà quando, aveva smesso di funzionare. Uscì dalla cabina ed andò a cercare l’addetto ai vagoni-letto.

L’uomo, tale T. W. Johnson, le assicurò gentilmente che sarebbe andato subito a verificare.

La ragazza non poteva sapere che l’addetto la teneva d’occhio. Quel lungo bacio alla stazione e l’aspetto da italiani della coppia, avevano risvegliato la sua curiosità e il suo sospetto, e lei gli aveva appena dato il pretesto per svolgere il suo vigile compito di bravo patriota.

Certo, il buon T. W. Johnson, non si aspettava di trovare ciò che trovò curiosando nella borsa di quella che, ancorché sospetta, era una minuta e dolce signorina.

In preda al panico, l’addetto si affrettò a raggiungere il capotreno e a informarlo della sconvolgente notizia. Quest’ultimo chiamò senza indugi la polizia della stazione di Chicago.

Verso le 11:30, la ragazza, stanca di aspettare, tornò al suo scompartimento ma trovò la cabina chiusa a chiave. Andò a cercare di nuovo il signor Johnson, però questi, con varie scuse, si rifiutò di aprirle la porta.

A quel punto, la ragazza capì di essere stata presa in trappola.

Alle ore 12:30, il treno entrò nella Union Station di Chicago.

Il binario era stracolmo di agenti di polizia. Nessuna via di scampo. Nessuna possibilità di fuggire.

Le forze dell’ordine controllavano tutti I passeggeri che mettevano piede sulla banchina.

La ragazza si mise tranquilla ad aspettare.

Fu presa in consegna da sei poliziotti, tra cui il comandante del locale commissariato ed un agente federale.

Il suo bagaglio registrato era già stato aperto e controllato. Non conteneva niente di strano. Vestiti da donna, foto della ragazza con quelli che sembravamo essere i suoi genitori e una ciocca di capelli nerissimi.

Ciò che gli agenti aspettavano era, però, di vedere il contenuto della valigia chiusa in cabina.

Dopo che Johnson ebbe aperto, I poliziotti entrarono e con estrma l’aprirono.

La ragazza aveva viaggiato fino a Chicago con 36 candelotti di dinamite e una Colt automatica calibro 32 carica.

La giovane donna venne immediatamente portata al distretto di polizia presente in stazione.

Durante il primo interrogatorio, la ragazza disse di chiamarsi Linda José, disse di essere stata accompagnata alla stazione di partenza da un certo Carlo, del quale però non fornì il cognome, disse che sapeva che la valigia conteneva dinamite, disse che un suo zio le aveva chiesto di portarla fino a Chicago.

Altro, la ragazza non disse.

La ragazza venne in seguito portata al Dipartimento di Giustizia della città e venne interrogata una seconda volta da Clinton Clabough, capo del Bureau of Investigation del Midwest.

La ragazza ripetà la versione che aveva dato in stazione con, se possibile, ancor meno particolari.

La ragazza che diceva di chiamarsi Linda José, nel tardo pomeriggio venne presa e portata davanti ad un commissario federale con l’accusa di possesso illecito di armi e dinamite.

La cauzione venne fissata a 20.000 dollari.

Linda José venne subito condotta nella prigione di Lake County a Waukegan.

*

Correva l’anno 1918. Era gennaio. La grande guerra non era ancora terminata, dopo quasi quattro.

Gli Stati Uniti si erano uniti alla carneficina da poco meno di un anno, dall’aprile del 1917, ma era stato fin dall’inizio del conflitto, alla fine del luglio del 1914, che l’isteria patriottica nelle terre nordamericane era cresciuta esponenzialmente.

Il Congresso degli Stati Uniti, nel giro di pochi mesi, aveva approvato tre leggi largamente applaudite dall’opinione pubblica, quali l’Espionage Act (1917), il Sedition Act (1918) e l’Immigration Act (1918).

Erano tempi in cui ogni discorso, ogni atto, ogni scritto erano passati al setaccio.

Erano tempi in cui il solo fatto di essere un immigrato, uno straniero ti faceva automaticamente passare come sospetto.

E, soprattutto, erano tempi in cui ogni voce critica alla politica bellica veniva messa a tacere.

Lo strumento di cui si avveleva il Governo Federale era un corpo istituito all’interno del Dipartimento di Giustizia, il Bureau of Investigation.

Uno dei primi nemici in cima alla lista del Bureau si chiamava Luigi Galleani.

Luigi Galleani viveva in terra americana da molto tempo. Nato a Vercelli nel 1861, da giovane aveva studiato legge all’università di Torino prima di abbracciare le idee anarchiche. Espulso e ricercato in mezza Europa, si era imbarcato per l’America nel 1901, stabilendosi a Paterson, nel New Jersey, dove appoggiato gli scioperi degli operai tessili, guadagnandosi un mandato d’arresto. Si era rifugiato, quindi, in Canada, ma era tornato clandestinamente dopo appena un anno, andando a vivere a Barre, nel Vermont, dove, nel 1903, aveva fondato il periodico Cronaca Sovversiva. Questo foglio di quattro pagine che propugnava senza mezzi termini la rivoluzione sociale, in breve, aveva raggiunto la tiratura di migliaia di copie distribuite tra i lavoratori italiani sparsi nelle varie comunità degli States.

Quando era iniziata la guerra in Europa, tutti i gruppi radicali, chi più chi meno, avevano preso posizione contro l’intervento. Quelli di Cronaca Sovversiva naturalmente si trovavano in prima fila nella lotta.

Luigi Galleani

Sotto la guida del Bureau o Investigation si moltiplicarono le perquisizioni, i sequestri, gli arresti e i provvedimenti di espulsione nei locali e case ai danni di stranieri rei di avere idee antipatriottiche. La stampa applaudiva i provvedimenti e ne invocava di ancora più severi. Gli anarchici erano quelli più presi di mira.

In mezzo a questo clima surreale di isteria avvenne, finalmente, il tragico episodio.

Il 9 settembre del 1917, a Milwaukee, durante una manifestazione antianarchica nel quartiere a maggioranza italiana di Bay View indetta dal reverendo Augusto Giuliani fecero irruzione i diretti interessati che, durante l’inno americano, salirono sul palco e strapparono la bandiera a stelle e strisce. Ne seguì una baruffa e, quando arrivò la polizia, vennero esplosi numerosi colpi d’arma da fuoco. Restarono sul terreno due anarchici italiani ed un altro ferito grave, raggiunto da un proiettile alle spalle.

Vennero arrestati undici anarchici. La sede del loro piccolo circolo, intitolata al pedagogo Francisco Ferrer, perquisita ed i presenti malmenati.

La sera del 24 novembre successivo, una bambina undicenne figlia della donna addetta alle pulizie della chiesa di Bay View, trovò casualmente nel seminterrato del luogo di culto un tubo metallico di circa 30 cm di lunghezza e 20 cm di diametro.

L’oggetto venne portato al più vicino commissariato per essere esaminato. E proprio quando si trovava sul tavolo, con la polizia intenta ad ispezionarlo, che l’ordigno decise di esplodere uccidendo dieci agenti e una donna che si trovava sul posto per fare una denuncia. Altri sei poliziotti vennero gravemente feriti. La sede del commissariato risultò devastata dall’esplosione.

Gli undici arrestati per la sparatoria di settembre vennero portati in giudizio pochi giorni dopo la strage.

Come è facile immaginare, il processo fu il pretesto per vendicarsi della morte degli appartenenti alle forze dell’ordine. Nel pronunciare la sentenza, il giudice A. C. Backus, apostrofò gli imputati:

Tutti voi siete stranieri, residenti nel paese da pochi anni. Avete rifiutato tutto delle istituzioni americane, nonostante queste vi offrissero grandi possibilità. Questo è il migliore paese del mondo. Ma le vostre idee ananrchiche ed il vostro modo di fare hanno cercato di distruggerlo con la violenza. Voi non siete una forza creativa né costruttiva. I vostri propositi portano distruzione e rovina e la corte deve emettere una pena adeguata al crimine che avete commesso.

Vennero tutti condannati a venticinque anni di carcere per tentato omicidio.

*

Se si aspettano che confessi, possono aspettare finché avrò i capelli bianchi, perché non c’è nessuna confessione da fare.

[La sedicente Linda José ad un’altra prigioniera]

A due mesi di distanza dalla strage di Milwaukee, la scoperta di 36 candelotti di dinamite aveva evidentemente allertato i massimi organismi federali.

La sedicente Linda veniva interrogata a Chicago a più riprese dal procuratore federale Borrelli. Ma la ragazza continuava ad essere reticente.

Procuratore: Sapevi a cosa serviva la dinamite?

Ragazza: Sapevo che era usata nelle miniere.

P.: La domanda è se sai a cosa serviva la dinamite.

R.: Certo, sapevo che era un esplosivo.

P.: E sapevi che era usata nelle miniere per provocare esplosioni?

R.: Sì.

P.: Sapevi che era usata anche per far saltare in aria i palazzi?

R.: Sapevo che era un esplosivo.

Con le sue brevi risposte ai giornalisti che l’attendevano fuori dal palazzo federale, i quali fin da subito avevano preso a chiamarla Dynamite Girl, divenne un personaggio pubblico ideale per i pennivendoli della carta stampata.

Una ragazzina dalla dubbia identità, invischiata in un torbido affare di esplosivi, che poteva essere detestata o amata per gli stessi identici motivi.

Non credo in Dio né al governo né alle leggi. Non credo nella guerra. Non m’importa cosa mi succederà”, dichiarava la sedicente Linda José.

*

La mattina del 15 aprile del 1918, vennero rinvenute due bombe presso la casa del procuratore Zabel, capo dell’accusa nel processo di Milwaukee. I due ordigni, però, a causa della pioggia che era caduta incessantemente per tutta la notte, non erano esplosi.

Le due bombe pesavano 10 kg e contenevano una quantità di dinamite e pezzi di metallo tale che avrebbero di certo distrutto l’abitazione del funzionario e diverse altre case negli immediati paraggi.

Questo non è altro che un tentativo di risposta per aver spedito i dodici [sic] implicati negli scontri di Bay View a Waupun per venticinque anni”, dichiarò il procuratore Zabel.

Ed aveva ragione, ma non aveva assolutamente idea di chi materialmente aveva attentato alla sua vita.

La più logica delle piste portava ai compagni di Milwaukee delle persone che aveva fatto condannare. Ma, nonostante gli interrogatori e le perquisizioni, non veniva fuori niente di concreto.

Zabel si rese presto conto di brancolare nel buio.

*

È la ragazza più intelligente che abbia mai incontrato nella mia carriera di investigatore.”

[Clinton G. Clabaugh]

Fu con un’innegabile espressione di trionfo che il caposezione del Bureau of InvestigationClabaugh, ricevette l’ormai famosa Dynamite Girl nel suo ufficio di Chicago.

Aveva appena scoperto l’identità della ragazza.

Si chiamava Gabriella Antolini. Di anni 18. Italiana di nascita. Sposata.

Gabriella, chiamata da tutti Ella, era nata nel 1899 nella provincia di Ferrara in una famiglia di contadini poveri. Tanto poveri che, nel 1907, avevano deciso di tentare la fortuna in America, in Louisiana precisamente.

Ella aveva tre fratelli più grandi di lei ed una sorella più piccola.

Dopo cinque anni di vita miserevole, passata in cera di lavori malpagati di città in città, di baracche in cui vivere, il padre e la madre, stanchi, avevano deciso di tornare nei luoghi di origine, portandosi dietro le figlie.

I figli maschi, Luigi, Alberto e Renato, erano restati negli States. In breve tempo avevano trovato tutti un impiego, I primi due a fare I muratori a New Britain, nel Connecticut, e l’ultimo come coltivatore a Vineland, nel new Jersey.

Nel 1913, quindi, Ella, con i genitori e la sorella, aveva attraversato di nuovo l’Oceano e si erano stabili a New Britain.

Ella aveva frequentato un anno di scuola, poi era stata mandata a lavorare in fabbrica.

Era una bambina particolare. Nonostante la fatica del lavoro, era assetata di conoscenza. Leggeva tantissimo, sia in italiano che in inglese, attratta soprattutto dalla letteratura e dall’arte.

Ben presto, influenzata da Luigi ed Alberto, che si professavano anarchici e che erano abbonati nonché distributori di Cronaca Sovversiva, Ella aveva cominciato ad interessarsi anche ai temi sociali.

Ungiorno del giugno del 1915, Alberto aveva invitato nella loro casa al 129 di Lawlor Street, un suo amico, un operaio ventitreenne di origini trentine di nome August Segata.

Agli occhi di Ella, August detto Gugu era bello. Biondo, parlava di anarchia con un accento che lo rendeva attrattivo. Ed Ella se ne era innamorata subito.

Ella e Gugu si erano sposati, e non poteva essere altrimenti, il primo di maggio dell’anno successivo e si erano trasferiti in un piccolo appartamento al numero 236 di Oak Street, non lontano dalla famiglia di lei.

Ella, allora diciassettenne, aveva trovato un lavoro nella fabbrica Fafner Bearing Company. Ma fuori era ormai impegnata a tutti gli effetti con il movimento anarchico. Il suo caporeparto avrebbe dichiarato in seguito:

… parlava spesso di socialismo e guardava con aperta simpatia all’anarchia.

Con il marito, facevano parte del circolo anarchico I Liberi, al numero 85 di Mill Street nel quartiere industriale della città, e insieme frequentavano I numerosi picnic, balli, conferenze e opere teatrali che il gruppo libertario organizzava. Ella aveva cominciato a recitare delle parti nelle opere che venivano rappresentate, opere di Pietro Gori ed altri autori anarchici.

Era per questo che le era venuto in mente di fornire alla polizia il nome di Linda José, da uno dei personaggi che interpretava.

Nell’estate del 1917, durante una delle tournée teatrali, Ella aveva conosciuto, tra gli altri simpatizzanti di Galleani e di Cronaca Sovversiva, Carlo Valdinoci che, all’epoca, stava vivendo anche lui a New Britain, a casa di Giobbe e Irma Sanchini, tra I principali animatori del circolo I Liberi e come dei genitori per la ragazza.

Carlo era di quattro anni maggiore di Ella, essendo nato nel 1895, anche lui originario dell’Emilia Romagna. Di professione falegname, era emigrato negli Stati Uniti poco più che adolescente, stabilendosi a Roxbury, nel ???, dove abitavano molti anarchici suo compaesani. Era diventato anarchico a sua volta ed aveva stretto una forte amicizia con un tale Mario Buda.

Nel ’13, era diventato sostenitore di Cronaca Sovversiva e, insieme a suo fratello Enrico ed a Mario, si era trasferito a Cambridge travando lavoro nella fabbrica di ceramiche A. H. Hess Company. Dal 1915, si era messo a lavorare in proprio come carpentiere.

Carlo era un giovane alto e bello, il cui tratto che più colpiva erano I lunghi capelli ricci e neri come la notte, pettinati all’indietro.

Intelligente, brillante, dotato di una parlantina sciolta, restava immediatamente simpatico agli uomini e faceva cadere innamorate le donne.

Ella non aveva fatto eccezione ed aveva continuato a frequentare Carlo ma “sempre con mio marito, non c’era niente di male”.

Alla fine dell’estate, però, August Segata e Carlo Valdinoci, insieme ad un pugno di sostenitori di Cronaca Sovversiva, tra i quali c’erano Mario Buda, Giovanni Scusset, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, erano partiti per il Messico.

I motivi di quel viaggio erano dati dalla necessità di sfuggire alla coscrizione obbligatoria, per alcuni, e dalla convinzione che, da lì a poco, in Italia sarebbe scoppiata la rivoluzione sull’esempio di quella russa.

Il gruppo, stabilitosi a Monterrey, si era messo ad esercitarsi nelle armi ed alla fabbricazione di ordigni esplosivi. Ma le settimane erano passate e dall’altra parte dell’Oceano non era arrivata alcuna notizia di sollevazioni.

In compenso, a quella sessantina di sovversivi era arrivata la voce dell’eccidio di Milwaukee di settembre. Alcuni di questi uomini, desiderosi di un’azione che tardava ad arrivare, decisero di rientrare clandestinamente negli Stati Uniti per cercare vendetta.

*

Durante il periodo in cui gli uomini erano fuggiti in Messico, Ella era rimasta in contatto epistolario anche con Carlo ma, a partire da novembre, le lettere di quest’ultimo non erano più arrivate.

Poi, all’inizio di gennaio del 1918, alla vigilia della sentenza per i fatti di Milwaukee, Ella aveva ricevuto una lettera con la firma di Carlo. Questi le chiedeva di raggiungerlo a Youngstown per un affare della massima importanza.

Il giorno dopo, lei ed August si erano recati a Hartford e, da lì, avevano preso il treno per Youngstown. Una volta giunti a destinazione, un taxi li aveva portati al numero 910 di West Woodland dove vivevano Carlo Valdinoci e Giovanni Scussel, ospiti di una famiglia italiana. Era la mezzanotte del 13 gennaio.

I quattro erano rimasti a parlare davanti alla stufa fino all’alba per poi crollare addormentati.

Ella ed il marito si erano svegliati verso le 15 ed erano andati allo York Hotel, dove si erano registrati come il signor e la signora Bianchi.

La mattina dopo, di buon ora, si erano recati a fare colazione in caffè vicino in cui erano attesi da tre uomini. Uno di questi era Carlo. Gli altri due si erano presentati ad Ella come Luigi Backet (in realtà Bacchetti) e Mario Rusta (in realtà Buda). Quest’ultimo le aveva passato la valigetta nera con la dinamite, che doveva essere usata per altre azioni a Milwaukee. Il compito di Ella sarebbe stato quello di portarla fino a Chicago.

Il 16 gennaio, Ella e Carlo, lasciando August a Youngstown, anziché prendere un treno con destinazione Chicago, avevano preso un convoglio per Steubenville.

Un agente federale avrebbe successivamente commentato: “È proprio un bel giro lungo da Youngstown a Steubenville; quel che avevano da fare doveva essere molto importante.

in effetti, in quella città abitava tale Emilio Coda, altro sostenitore di Cronaca Sovversiva che aveva fatto parte del gruppo che era andato in Messico, e che poteva, dato il suo lavoro di minatore, facilmente reperire altra dinamite.

Backet gli aveva inviato un telegramma preannunciando l’arrivo della coppia.

Il fatto era stato che Coda non lo aveva mai ricevuto, essendo fuori casa per un giro di conferenze, e Carlo ed Ella si erano ritrovati soli a Steubenville senza sapere né cosa fare né dove andare.

Avevano deciso quindi di affittare una stanza in hotel per passare la notte, poiché il treno per Chicago sarebbe partito solo l’indomani.

Quella notte, Ella e Carlo era finalmente diventati amanti.

*

Nonostante tutto, una traccia che poteva far risalire a Carlo, Ella l’aveva lasciata.

Una traccia che avrebbe anche,forse, potuto portare alla scoperta degli autori della bomba di Milwaukee e delle altre bombe che sarebbero esplose successivamente.

Tra la corrispondenza inviata dalla ragazza subito dopo il suo arresto, risultava una lettera del 18 gennaio spedita al numero 448 di Lansing Avenue a Youngstown per un tale Carlo Rossini.

Clabaugh aveva trasmesso l’informazione al responsabile di Cleveland, Charles DeWoody, e questi aveva incaricato d’indagare il suo miglior agente, Rayme Finch.

L’agente federale aveva cerificato che l’indirizzo in questione corrispondeva alla residenza di un certo Arduino Tremonti e che questo Rossini solo vi ritirava la posta.

Il tenace Finch non si era certo fermato e, nel giro di poco, aveva scoperto la casa in cui questo Carlo abitava, solo che qua si faceva chiamare con il cognome di Lodi.

La casa corrispondeva, naturalmente, a quella in cui Ella ed August si erano fatti portare la notte in cui erano arrivati a Youngstown, il 910 di West Woodland Avenue, di proprietà di Luigi Coda.

Mentre attendeva l’arrivo dei due affittuari, Finch si era messo ad interrogare la figlia del padrone di casa, Penn Coda. La ragazza aveva riconosciuto la sedicente Linda José in una foto che gli era stata mostrata ed aveva descritto Carlo, soffermandosi soprattutto sui capelli, scuri come l’ebano e pettinati all’indietro. “Erano molto ricci e bellissimi.”, confermando che probabilmente era lo stesso uomo che aveva accompagnato Linda José alla stazione di Steubenville.

Alla fine, in casa, si era presentato il solo Giovanni Scussel che Finch, dopo una perquisizione nella sua stanza, aveva arrestato per il possesso illegale di due pistole.

Carlo, invece, sembrava aver annusato il pericolo e non si era presentato.

Finch, però, non era certo il tipo da mollare la presa e si era messo sulle sue tracce. Ma, ogni volta che l’arresto sembrava cosa fatta, l’uomo dai lunghi capelli ricci e neri, non si sa come, riusciva a sfuggirgli.

L’inseguimento lo aveva portato attraverso diversi stati, fino a Fairmont, in West Virginia, dove Carlo aveva fatto in modo di dileguarsi definitivamente.

*

Ella fu finalmente incriminata davanti al Gran Giurì per trasporto illegale di esplosivi il 3 giugno del 1918.

Il 21 ottobre successivo, fu condannata alla pena massima, 18 mesi di reclusione e 2.000 dollari di multa.

All’inizio di novembre venne trasferita nel carcere federale Missouri State Penitentiary di Jefferson City.

Il carcere ospitava allora circa 200 detenuti di cui una ottantina di donne.

Ella venne messa nella cella accanto a quella della celebre anarchica di origini russe, Emma Goldman.

La Goldman, 48 anni, che era stata condannata a due anni per propaganda contro la leva obbligatoria, fu particolarmente colpita dall’arrivo della giovane italiana: “Come un raggio di sole portò allegria tra le recluse e a me una grande gioia.

Tra le due nacque un profondo rapporto di amicizia molto simile però a quello che possono avere una madre e una figlia.

Lavoravano insieme durante il giorno, cucendo grembiuli giacche e bretelle, e la sera passavano il tempo in lunghissime conversazioni.

Emma Goldman

Nell’aprile del 1919, entrò in carcere Kate Richards O’Hare, 43 anni, la più famosa donna socialista dell’epoca negli Stati Uniti, condannata a 5 anni per violazione dell’Espionaga Act, per aver parlato contro la guerra durante un comizio.

Emma si prese cura di me e di Ella, come un padre e una madre insieme. È proprio una gran cosa avere qui con me due donne come le due politiche”. Emma è molto gentile e dolce e una compagna di idee, mentre la giovane ragazza è un tesoro. Stiamo vivendo momenti davvero interessanti.

Vivendo in celle una vicina all’altra, le tre presero a parlare di loro stesse come del “Soviet rivoluzionario americano”.

Con Emma ed Ella al mio fianco, il Comitato esecutivo tiene riunioni segretissime per dirigere gli affari del mondo. Immagina che storie interessanti potranno scrivere gli storici del futuro su questo strano trio e le cose che faceva.”

Oltre al carattere dolce e solare di Emma, Kate fu colpita anche dalla sua sete di conoscenza. Leggeva tutto quello che lei le passava, analizzava e discuteva parole e pensieri, ed aveva incominciato a scrivere una storia della sua vita.

Però, questa specie di soggiorno forzato ma in qualche modo felice, era destinato a finire.

Il 4 dicembre del 1919, ad un mese circa dalla data della sua scarcerazione, gli agenti del Bureau of Immigration portarono ad Ella un mandato per la richiesta di deportazione in Italia.

*

Nel frattempo, per il giornale Cronaca Sovversiva ed i suoi sostenitori, i tempi si erano fatti ancora più difficili.

Dopo l’arresto di ScusselBacket e Segata si erano resi irreperibili.

I materiali rinvenuti nelle loro abitazioni, però, mettevano indiscutibilmente il relazione gli indagati con il giornale di Luigi Galleani.

Con queste specie di prove, Finch si era presentato dal suo capo, DeWoody, chiedendo l’autorizzazione per una perquisizione nei locali di Cronaca Sovversiva.

Non ci aveva messo molto a convincere il suo superiore. Si potevano trovare elementi che potevano collegare il periodico ed i suoi seguaci alla dinamite di Chicago, portare all’arresto del famoso Carlo e deportare Galleani e quanti fossero stati a lui strettamente legati.

Il 22 febbraio del 1918, decine tra agenti del Bureau of Investigation, sceriffi federali e poliziotti locali, con a capo lo stesso Finch, avevano fatto irruzione nei locali di Cronaca Sovversiva a Lynn.

Anche se non erano riusciti a mettere le mani sull’elenco dei sottoscrittori del giornale, dalle etichette con gli indirizzi sulle copie dell’ultimo numero, gli agenti avevano potuto ricavare una lista di sovversivi comunque abbastanza lunga.

Sulla base dei documenti sequestrati, il Bureau of Investigation aveva spiccato un centinaio di mandati di cattura per anarchici sparsi in tutto il paese, anche se all’incirca la metà di questi abitavano nel New England.

Il 15 maggio era scattata la retata. Erano stati tratti in arresto una trentina di anarchici in qualche modo legati a Cronaca SovversivaGalleani era stato arrestato il giorno successivo e portato negli uffici del Bureau of Immigration a East Boston.

Il 18 giugno, Cronaca Sovversiva era stata messa fuori legge.

Galleani, però, da parte sua, non aveva certo intenzione di smettere di editare la sua creatura. Tutte le macchine da stampa erano state smontate pezzo per pezzo e, insieme ai materiali utili per la pubblicazione, erano state portate di nascosto a Providence.

Da lì, i sostenitori di Galleani sarebbe riusciti a pubblicare altri due numeri, nel marzo e nel maggio del 1920.

il 24 giugno del 1919, Galleani, insieme ad altri otto suoi compagni, era stato trasferito da Boston ad Ellis Island, l’anticamera della deportazione.

Dopo diciotto anni vissuti in America, il vecchio anarchico fece, dunque, ritorno in Italia.

Nel febbraio del 1919, erano state rinvenute in tutto il New England copie di un volantino dal titolo GO-HEAD! a firma The American Anarchists.

Il testo terminava con queste frasi:

Voi non avete dimostrato pietà nei nostri confronti! Noi faremo lo stesso!

E deportateci! Noi vi faremo saltare in aria!

La mattina del 28 aprile, un piccolo pacco era arrivato per posta nell’ufficio del sindaco di SeattleOle Hanson.

Essendo questi assente, il pacco era stato aperto da un impiegato. Per sua fortuna, lo aveva aperto dal lato sbagliato e una bottiglietta ripiena di liquido era rotolata sulla scrivania.

Si trattava dell’innesco di una bomba artigianale costituita da un candelotto di dinamite e piena di pezzi di metallo.

Il sindaco Hansen, che era l’obbiettivo dell’ordigno, nel febbraio precedente aveva chiamato l’esercito per stroncare uno sciopero dei lavoratori contro l’aumento del costo della vita.

Il giorno dopo, un pacco identico venne recapitato a casa dell’ex senatore Thomas Hardwich, promotore l’anno prima del disegno di legge sulla deportazione, ad Atlanta,

La moglie dell’uomo politico aveva chiesto alla cameriera di colore di aprire la scatola. L’esplosione aveva fatto perdere la mai alla serva e aveva bruciato il collo e parte del viso della padrona.

Grazie alla diffusione della descrizione del pacco, una scatola di circa diciassette cm per sette ricoperta da carta marrone con un’etichetta di Gimbel Brothers , con le scritte Novelty e Sample e il disegno di uno scalatore di montagna, un impiegato delle poste di New York aveva segnalato alla polizia che, tre giorni prima, aveva messo da parte 16 pacchi identici per un¡affrancatura insufficiente ed latri ancora li aveva spediti.

Alla fine erano stati rinvenuti 30 pacchi bomba, tutti indirizzati a politici, giudici, imprenditori e poliziotti. Tra questi figuravano Mitchell Palmer, procuratore generale degli Stati Uniti, Anthony Caminetti, commissario generale per l’Immigrazione, e gli uomini d’affari John Rockfeller e J. P. Morgan.

Nessuna delle bombe aveva raggiunto il suo obbiettivo ma lo scalpore era stato comunque enorme.

Una di queste bombe era stata indirizzata all’agente Finch, che tanto alacremente aveva lavorato per incastrare I galleanisti.

Finch era stato allora preso dalla paura. Si era dimesso “per motivi di salute” e si era ritirato a vita privata sulle montagne della Pennsylvania, lontano da tutto e da tutti.

Il clamore per la serie di attentati era appena scemato quando, il 2 giugno, erano esplose bombe in sette diverse città.

Questa volta gli esplosivi erano stati portati direttamente a mano dagli attentatori davanti alle case dei loro obbiettivi designati.

Tutte le bombe erano esplose attorno alla mezzanotte e, nei pressi dei luoghi delle esplosioni, erano stati lasciati dei volantini dal titolo Plain Words.

Voi avete provocato lo scontro. Voi ci avete rinchiuso, deportato e ucciso. Noi accettiamo la sfida. Il proletariato ha il diritto di proteggersi, in quanto la sua stampa è stata soffocata, le bocche imbavagliate, intendiamo parlare per esso con la voce della dinamite […]”

La dinamite aveva distrutto la facciata delle case del giudice Albert Hayden, che aveva condannato I manifestanti del 1º maggio, e del deputato Leland Powers, che aveva introdotto nel Massachussets una legge antisedizione simile a quella federale, tutti e due a Boston; quella del giudice della Corte municipale Charles Nott, che quattro anni prima aveva condannato due anarchici italiani per aver tentato di piazzare una bomba nella cattedrale di StPatrick, a New York; quella di Harry Klotz, presidente della Suahna Silk Company, che si era attivamente opposto all’introduzione della settimana di 48 ore lavorative, a Paterson; quelle del giudice della Corte distrettuale degli Stati Uniti, W. H. S. Thompson e dell’ispettore del Bureau of Immigration, W.W. Sibray, che avevano entrambi seguito i procedimenti di espulsione di radicali stranieri, a Pittsburgh; quella del sindaco di Cleveland, Harry Davis, anche lui che aveva represso la manifestazione del 1º maggio; e della chiesa della Our Lady of Victory, a Philadelphia.

Tutte queste bombe provocarono ingenti danni materiali, con le facciate delle abitazioni quasi completamente distrutte, i vetri in frantumi, ma, tranne qualche ferito lieve, nessuna vittima. Questo se si esclude la bomba più sensazionale, quella esplosa a Washington, davanti al portone dell’abitazione del procuratore generale Palmer, in R Street nel quartiere di Northwest.

Erano all’incirca le 23:15 quando, mentre Palmer e sua moglie si stavano preparando per andare a letto, si udì un’esplosione terribile. Le pareti della casa tremarono, i vetri delle finestre andarono in frantumi. Le case vicine subirono la stessa sorte. In tutta la zona si sentiva un forte odore di acido.

Nel giro di poche ore, la strada si riempì di polizia, di pompieri e di agenti federali. Quello che scoprirono, tra i detriti sparsi un po’ ovunque, furono pezzi di ciò che una volta era stato una persona.

Non potevamo fare un passo senza vedere pezzi di carne umana. La casa di fronte a quella di Palmer ne era piena”, raccontò il sergente Burlingame.

Evidentemente, la bomba, per qualche motivo, era esplosa prima del previsto, uccidendo chi la stava depositando.

Pezzi di gambe, di colonna vertebrale, ossa, ma niente dita della mano che, forse, avrebbero aiutato all’identificazione della vittima attraverso le impronte digitali.

Passando al setaccio l’intero quartiere, la polizia fu in grado di rintracciare tra le macerie un revolver Smith & Wesson calibro 32 intatta e pezzi di una Colt calibro 32, resti di un borsone in finta pelle nera, un dizionario italiano-inglese, un sandalo marrone, frammenti di un abito scuro, di una cravatta blu a pois e di una bombetta nera. Poi, come nelle altre esplosioni, copie di Plain Words.

Il 3 giugno, sul tetto di una delle case in S Street, un pompiere ritrovò un’intera ciocca di capelli “neri e ricci”.

Dal momento in cui ricevette questa notizia, Ella capì che non avrebbe rivisto Carlo. Mai più.

*

Ella Antolini, la Dynamite Girl, non venne deportata.

Il giorno della sua scarcerazione, il 3 gennaio del 1920, venne direttamente trasferita a StLouis in attesa che si formalizzasse il decreto che la doveva obbligare a lasciare la terra americana.

Kate, tramite il marito Frank, riuscì a trovarle un avvocato che alla fine ottenne il non luogo a procedere.

Alla fine di aprile del 1920, Ella venne rimessa in libertà e fece ritorno dalla sua famiglia a New Britain.

In seguito, Ella si sarebbe spostata a Detroit dove avrebbe sposato il sarto Jerome Pumillia, con il quale avrebbe avuto due figli.

Si trasferì poi a Bston e, nel 1940, chiese il divorzio e andò ad abitare a Needham, dove erano andati a vivere gli ultimi sostenitori di Cronaca Sovversiva rimasti.

I suoi vicini di casa si chiamavano Emilio Coda e Giovanni Scussel.

Era ancora una donna stupenda. Tutti i giovani compagni andavano pazzi per lei.

Anni dopo, Ella si trasferì in Florida, continuando a nutrire la sua insaziabile sete di conoscenza, frequentando biblioteche e musei.

Nel 1982, ebbe un ictus che la lasciò parzialmente paralizzata, anche se lei, testarda, continuò a camminare e guidare la macchina per recarsi in biblioteca.

Ella morì di cancro il 23 gennaio 1984.

Secondo le sue volontà, venne cremata e le sue ceneri sparse nel parco nazionale di Everglades.