MORTE AI BORGHESI! Capitolo I

CAPITOLO I – LA COMUNE NON È MORTA

[in memoria di Louise Michel]

IL RITORNO

Nel momento in cui il treno entrò nella stazione di St. Lazare di Parigi, l’urlo delle 10.000 persone presenti si alzò prepotentemente:

Viva Louise Michel! Viva la Comune! A morte gli assassini!

Era il novembre del 1880 e, in seguito all’amnistia generale per i condannati della Comune, Louise Michel, uno dei simboli di quell’esperienza durata due mesi che aveva fatto tremare i potenti di tutto il mondo ed aveva dato una luce di speranza alle masse oppresse, condannata come altre migliaia di persone alla deportazione a vita nelle isole della Nuova Caledonia, faceva il suo ritorno nella capitale francese dopo più di sette anni di quell’inferno.



Louise Michel arriva alla stazione di St. Lazare

Louise Michel era nata nel 1830 nel castello di Vroncourt, nella Haute-Marne, dove sua madre Marianne prestava servizio come serva.

La storia della sua giovinezza aveva assomigliato molto ad una favola.

Il padre era padrone del castello, o forse suo figlio, Louise non lo avrebbe mai saputo, ma si sarebbe sempre ricordata di aver avuto un’infanzia molto felice, ricevendo un’educazione liberale, leggendo le opere di Voltaire, Rousseau e degli altri enciclopedisti, prendendo lezioni di canto e di pianoforte.

A venti anni, però, come nelle migliori favole, con la morte del padre e del nonno (o del fratellestro e del padre), Louise e Marianne erano state cacciate dal castello dalla matrigna cattiva.

Louise aveva quindi conseguito un diploma d’istitutrice e trovato un impiego nella scuola libera di Audeloncourt, a pochi chilometri da dove era nata. I suoi metodi di insegnamento, però, non piacevano. Insegnava la Marsigliese, portava i suoi alunni a fare lunghe passeggiate pedagogiche nella natura ed altre cose strane. Decisamente troppo per i genitori tradizionalisti di quei bambini.

Dopo aver tentato di aprire una scuola con una sua amica, Louise si era finalmente trasferita a Parigi nel 1854, riuscendo in poco tempo ad aprire una propria scuola a Montmartre. Aveva iniziato anche ad assistere a diverse riunioni politiche, diventando una furiosa anticlericale e antimilitarista.

Nel 1870 era scoppiata la guerra franco-prussiano che aveva portato, con la sconfitta e l’imprigionamento di Napoleone III, alla proclamazione della Repubblica.

Nel gennaio del 1871, veniva firmato un armistizio che prevedeva la fine momentanea delle ostilità e delle elezioni da cui doveva venire fuori il parlamento ed il governo che avrebbe dovuto firmare definitivamente l’umiliante trattato di pace. Ma Parigi, che aveva resistito per mesi assediata dai prussiani, si era ribellata. Una rivolta partita dal popolo, dai lavoratori, che con fierezza si erano rifiutati di arrendersi.

Il nuovo governo eletto di Thiers, spostatosi a Versailles per precauzione, aveva tentato di disarmare la capitale cercando di impradronirsi dei cannoni della caserma di Montmartre. Il popolo aveva reagito ed aveva respinto l’attacco, restando così padrone della città.

Quello che passerà alla storia come il primo esperimento socialista dell’era moderna, era durato solo due mesi, ma aveva fatto in tempo ad eliminare l’esercito permanente, istituire l’istruzione laica e gratuita, a livellare le paghe, a promuovere le associazioni dei lavoratori, oltre a prendere una serie di provvedimenti a favore delle fasce più povere della popolazione.

Il Consiglio della Comune che usciva da elezioni effettuate il 26 marzo, venne ufficialmente nominato la sera del 28 in place Hôtel de Ville davanti a 200.000 parigini al canto della Marsigliese.

Louise Michel, che fino ad allora si era occupata dei bambini della scuola, fornendo alimenti de aiuti di ogni tipo anche grazie all’aiuto di Georges Clemenceau, allora sindaco di Montmartre, aveva deciso di prendere le armi arruolandosi nel 61º battaglione di stanza a Montmartre, de aveva creato con altri il Comitato di Vigilanza dei Cittadini del XVIII arrondissement, oltre a prestare servizio come infermiera.

Louise era in breve diventata un’icona dell’ala più radicale dei comunardi, con tanto di quadri che la rappresentavano.

Le sorti della Comune stretta d’assedio dalle truppe del governo, però, stavano precipitando.

Louise aveva sparato i suoi ultimi colpi di fucile sulle barricate di Clignancourt, poi si era arresa ai soldati di Thiers che aveva fatto prigioniera sua madre Marianne e minacciavano di fucilarla se non si fosse consegnata.

Il 28 maggio, dopo una settimana di feroci combattimenti, il generale Mac-Mahon aveva potuto lanciare un messaggio: “Parigi è stata liberata! La battaglia è finita oggi: l’ordine, il lavoro, la sicurezza stanno per essere restaurati”.

Da parte sua, Thiers aveva telegrafato a tutti i prefetti: “Il suolo è disseminato dei loro cadaveri. Questo spettacolo spaventoso servirà di lezione”.

Ed in effetti, la repressione era stata terribile.

Le vittime stimate in seguito alla caduta della Comune furono tra le 17.000 e le 35.000, a seconda delle fonti.

Era vero che il sangue era dappertutto. Le fosse comuni non si contavano. Le esecuzioni erano di massa.

Questo era il prezzo per aver sfidato il potere.

Dopo qualche giorno di selvaggia vendetta, uno strano “senso dello stato” aveva prevalso e si era passati ai processi. Certo, non erano processi per così dire “democratici”, con giuria e difensori, erano processi in stile militare, senza possibilità di appello.

Migliaia di persone furono quindi condannate alla deportazione. Non era la ghigliottina o la fucilazione, ma era comunque una condanna a morte. Una morte più o meno lenta.

Al momento del suo processo, Louise aveva chiesto per sé la pena di morte:

Poiché sembra che ogni cuore che batte per la libertà oggi non ha diritto che ad un po’ di piombo, allora anch’io reclamo la mia parte!

Non le avevano dato questa soddisfazione, naturalmente, ma l’avevano condannata, nel dicembre del 1872, alla deportazione a vita come altri 4.500 comunardi. In quel momento, dovuto alle sue azioni e alle sue parole, Louise era forse già la donna più celebre di Francia, tanto che Victor Hugo le aveva dedicato un poema intitolato Viro Major.

Imbarcata sul Virginie alla fine di agosto del 1873, Louise Michel era arrivata a Noumea, nella Nuova Caledonia, il 10 dicembre. Durante la lunga traversata aveva fatto la conoscenza del noto polemista Henri Rochefort e con la comunarda Nathalie Lemel, che l’avevano definitivamente convinta ad aderire alle idee anarchiche.

Nel suo soggiorno nell’area fortificata nella penisola di Ducos, Louise era riuscita a redigere un piccolo giornale e si era molto interessata alle sorti e alle tradizioni della popolazione locale Kanak, tanto da scriverne un libro, Leggende e canzoni delle gesta kanak, e da appoggiarne apertamente la rivolta nel 1878, poi duramente repressa dalle truppe coloniali.

L’anno successivo, le era stato concesso lo stato di “deportata semplice” ed aveva potuto andare a vivere a Noumea, tornando ad esercitare la sua professione di istitutrice.

Infine, l’11 luglio 1880, il parlamento francese aveva decretato l’amnistia generale per tutti i deportati condannati per i fatti della Comune.

Louise Michel

LA PROPAGANDA CON IL FATTO

Louise Michel, dopo essersi ricongiunta finalmente con sua madre e i suoi amici, intraprese ben presto un lungo giro di conferenze attraverso la Francia, l’Inghilterra, il Belgio e l’Olanda, sempre tallonata da agenti di polizia che non la perdevano di vista.

Il 4 gennaio del 1881, davanti ad una folla commossa, pronunciò l’elogio funebre per il seppellimento del corpo del rivoluzionario Auguste Blanqui.

Non è certo, anche se abbastanza probabile, se nel luglio di quello stesso anno, Louise Michel abbia partecipato al congresso internazionale anarchico che ebbe luogo a Londra, in quanto i nomi della maggior parte dei suoi partecipanti non vennero mai citati dalla stampa militante dell’epoca.

Quel che è certo, invece, è che da detto congresso venne fuori la controversa dottrina della propaganda con il fatto.

Nel documento redatto alla conclusione dei lavori, tra le altre cose, venne scritto:

Considerando che è giunta l’ora di passare dal tempo dell’affermazione al tempo dell’azione e di aggiungere alla propaganda verbale e scritta, la propaganda con il fatto e l’azione insurrezionale”. E proponeva ai gruppi aderenti:

L’Associazione Internazionale dei Lavoratori si dichiara avversaria dell’azione parlamentare. È strettamente necessario fare tutti gli sforzi possibili per propagandare con i fatti l’idea rivoluzionaria e lo spirito tra questa grande massa popolare che ancora non prende parte attiva al movimento e si fa illusione sulla moralità ed efficacia dei mezzi legali. Uscendo dal terreno legale, nel quale siamo generalmente restati fino ad oggi, per portare la nostra azione sul terreno della legalità, che è la sola via che porta alla rivoluzione – è necessario fare ricorso a dei mezzi che siano conformi a questo fine. Le scienze tecniche e chimiche avendo già reso dei servizi alla causa rivoluzionaria ed essendo chiamate a darne ancora di più grandi nell’avvenire, il Congresso raccomanda alle organizzazioni e agli individui facenti parte dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, di dare un grande peso allo studio e alle applicazioni di queste scienze, come mezzo di difesa e di attacco”.

Questa idea, che partiva dal presupposto del non riconoscimento della legalità borghese, era già evidentemente diffusa tra i pensatori e i propagandisti anarchici.

Carlo Cafiero, internazionalista della prima ora di tendenza libertaria, aveva scritto su Le Révolté del dicembre del 1880:

La rivolta permanente con la parola, lo scritto, il pugnale, il fucile, la dinamite […] tutto ciò che non è legale, va bene per noi”.

Ma il fatto, il gesto, l’azione non doveva per forza essere violenta.

Come aveva anche fatto notare Kropotkin:

Un edificio basato su secoli di storia non si distrugge con qualche chilo di esplosivo”.

Anche organizzarsi in un modo diverso da quello che la società imponeva era propaganda con il fatto. Le associazioni dei lavoratori, le società cooperative, le comuni di famiglie costituitesi nella natura, i giornali di propaganda, le riviste culturali de artistiche, le edizioni di opere di pensatori e scrittori libertari, lo sciopero, il sabotaggio, il boicottaggio, il rifiuto di andare sotto le armi, erano tutte pratiche non violente ma comunque illegali.

Le controversie maggiori stavano nel fatto della loro coerenza con l’ideale anarchico e, in secondo luogo, sull’opportunità nei diversi periodi storici dei metodi per così dire violenti, a partire dal furto e dalla rapina per arrivare all’assassinio.

Una controversia che si sarebbe riproposta per tutto il tempo senza mai essere risolta, che avrebbe portato a contrasti, polemiche, spaccature, denunce ed insulti.

Nonostante questo, però, ci sarebbe sempre stata un’immensa zona grigia in cui, anche se non si praticava una determinata azione, quanto meno la si sosteneva, si facilitava, la si incoraggiava.

Un’immensa zona grigia che si annidava nei quartieri più poveri ed operai e in quelli bohémiens di Parigi, ma anche di altre grandi città francesi come Marsiglia e Lione, che si ritrovava nelle piazze, nei vicoli malfamati, negli scantinati puzzolenti, nelle bettole più sudicie de economiche, negli innominabili postriboli.

Un’immensa zona grigia costituita da una massa di lavoratori sfruttati ed umiliati, da gente che veniva fuori dai confini della legalità, che si arrangiava per sopravvivere, da artisti più o meno inquieti e/o incompresi, da tutto un popolo senza speranza alcuna se non di rovesciare tutto …

Infine, anche Louise Michel, prese pubblicamente posizione per l’azione illegale in una conferenza tenuta in memoria della Rivoluzione francese, il 14 luglio del 1881, davanti al gruppo anarchico del XVIII arrondissement di Parigi:

Ma guardate dunque quello che succede in Russia; guardate il grande partito nichilista, vedete i suoi membri che sanno così arditamente e gloriosamente morire! Perché non fate come loro? Mancano picconi per scavare sottoterra, dinamite per far saltare in aria Parigi, petrolio per bruciare tutto?

Imitate i nichilisti, e sarò alla vostra testa; solo allora saremo degni della libertà, potremo conquistarla; sulle rovine di una società marcia che puzza ovunque di cadavere e di cui ogni buon cittadino dovrebbe sbarazzarsi con il ferro ed il fuoco, istituiremo il nuovo ordine sociale”.

LA PRIMA BOMBA È SBIRRESCA

Louise Michel era consapevole che per la diffusione della propaganda, un giornale capace di raggiungere le maggiori città francesi era pressoché indispensabile.

Il problema era quello di finanziare una tale impresa. Il movimento, i militanti in generale erano di povere origini. In passato, alcuni fogli dalla vita effimera erano nati e morti nel giro di pochi numeri, sopravvivendo quei mesi grazie alle esigue sottoscrizioni degli abbonati e dei simpatizzanti, tutta gente che, beninteso, non aveva certo di che togliersi denari dalle tasche.

Sostenere una pubblicazione periodica e diffusa comportava uno sforzo finanziario enorme e, soprattutto continuato.

Come fare, dunque?

Fu in questo momento che entrò in scena un personaggio che si faceva chiamare Serreaux, di origine belga, raccomandato negli ambienti parigini da Antoine Crié, un anarchico professore di francese che abitava a Bruxelles.

Il tipo sembrava insolitamente pieno di disponibilità finanziarie e disposto a sostenere un periodico che propagandasse le idde e le dottrine risultanti dal congresso di Londra. Fatto alquanto strano, in un ambiente come quello appena descritto. Ed infatti, Louise ed i suoi amici decisero di indagare sulla provenienza di questi soldi.

Risultò che il denaro proveniva da una ricca ereditiera residente a Londra. Questa signora era disposta a donare 3.000 franchi di anticipo e 1.500 ogni mese per i sei mesi successivi all’apertura del giornale.

Dopo aver incassato alcuni rifiuti, tra cui quello di Michel, fu al gruppo del Panthéon, con alla testa Emile Guatier ad accettare l’offerta.

Il primo numero del giornale intitolato La Revolution sociale uscì quindi il 12 settembre del 1880.

Il proprietario gerente ufficiale del periodico non fu, però, Serreaux, che si vide negare il permesso in quanto cittadino straniero, ma Victor Ricois. Serreaux rimase comunque il gerente nell’ombra e scriveva qualche articolo.

Il fatto rilevante era che Serreaux, in realtà, non si chiamava così e che i soldi non venivano da quella ricca signora inglese.

Il vero nome del belga era Égide Spilleux e il denaro veniva direttamente dagli uffici del prefetto di Parigi, Louis Andrieux, che aveva avuto l’idea di finanziare un giornale agli anarchici.

Non si sopprimono le dottrine impedendogli di riprodursi […] Fornire un giornale agli anarchici, significava d’altronde mettere un telefono tra la sala delle cospirazioni e l’ufficio del prefetto di polizia”, scriverà più tardi Andrieux nella sua autobiografia.

Purtroppo per il prefetto, dalla sala delle cospirazioni sembrava non dovesse giungere alcuna chiamata che potesse giustificare una spietata repressione, nonostante il sedicente Serreaux si affannasse a pubblicare su La Revolution sociale una rubrica intitolata “Studi scientifici”, in cui si suggeriva come costruire ordigni esplosivi in casa con materiale facilmente reperibile in ogni mercato o negozio.

E allora, se l’evento tanto agognato tardava a manifestarsi, perché non spingerlo a farlo? In fondo, c’era bisogno solo di un po’ d’incitazione e di qualche aiuto materiale.

Nella notte tra il 15 e il 16 giugno 1881, un forte rumore svegliò le famiglie che abitavano nei pressi del monumento a Thiers, il boia della Comune, in Saint-Germain-en-Laye, una statua inaugurata da poco. L’esplosione lasciò solo una strisciata nera sul basamento, ma non provocò alcun danno.

L’attentato, portato a termine da alcuni anarchici di Marsiglia su istigazione di Serreaux, il quale aveva anche provveduto a fornire l’esplosivo, non bastava, però, alla polizia per giustificare un’operazione repressiva in grande stile.

La buona stella di Serreaux stava evidentemente calando.

Certi compagni avevano già messo in giro la voce di una sua collaborazione con la polizia fin dai tempi in cui abitava a Bruxelles. Le accuse vennero rinnovate proprio da chi lo aveva introdotto negli ambienti parigini, Arsène Crié e Léonard Dupaux.

Infine, anche chi gli aveva accordato la propria piena fiducia, come Emile Guatier, cominciò a dubitare, vedendo la troppa disinvoltura con la quale si pubblicavano sul giornale i nomi dei compagni e come se ne fornivano finanche gli indirizzi.

Il prefetto Andrieux, anche di fronte agli scarsi risultati rispetto alle spese, decise di tagliare i fondi a La Revolution sociale, decretandone così la fine.

Il primo periodico anarchico sorto in terra francese era apparso per l’ultima volta il 18 settembre 1881, con il numero 56. Una settimana prima, Serreaux vi aveva pubblicato una melodrammatica lettera di addio, per poi far perdere per sempre le proprie tracce.

LA BANDA DEGLI INSONNI

Fui informato da voci pubbliche che esisteva una società segreta e teneva riunioni la notte, in un bosco nel territorio del comune di St-Bérain-sous-Sanvignes […] Questa società, di cui fanno parte più di cento individui, cambia spesso il luogo delle sue riunioni, e ciò mi fa supporre che ha degli aderenti non solo a Montceau, ma può essere anche in direzione di Creusot”.

Le località indicate da questo rapporto della gendarmeria facevano parte del bacino minerario di Saône-et-Loire, nella parte orientale del paese, una zona in cui i principi della rivoluzione erano ben lungi dall’essersi radicati.

Il bello e il cattivo tempo lo faceva il padrone delle miniere, Léonce Chagot: “Ci tengo a dire che non tollererò mai a Montceau dimostrazioni pubbliche contro la religione e la società. Gli operai sono liberi a casa loro. Fuori, voglio che non insultino le mie convinzioni e lo proclamo ad alta voce”.

In effetti, vigeva una legge che vietava la costituzione di associazioni operaie e uno sciopero scoppiato nel 1878 era stato duramente represso dall’esercito.

Ma qualcuno aveva deciso di reagire, qualcuno che tramava nascosto dall’oscurità della notte, qualcuno che ce l’aveva con la religione in generale, e con il prete locale, Gauthier, grande amico e confidente di Chagot, in particolare.

Minatore

Come è risaputo, le voci nei paesi piccoli circolano rapidamente. Così, la notizia di riunioni clandestine notturne arrivò ben presto, anche grazie alle confessioni che impartiva, alle orecchie interessate di padre Gauthier e, quindi, delle autorità, che decisero di affibiare ai suoi aderenti il nome di La Bande Noire (la banda nera), appunto perché si ritrovavano la notte.

E proprio in questo modo cominciarono ad autodenominarsi i frequentatori delle stesse.

Un giorno, una lettera minatoria arrivò a casa del curato:

Cittadino padre Gauthier […] se non hai lasciato il paese nelle prossime quarantotto ore, te lo faremo fare noi. Si potrebbe tirarti fuori dalla tua casa con qualche grammo di piombo. La Bande Noire”.

Nelle prime notti dell’estate del 1882, numerosi croci poste ai bordi delle strade ed agli incroci vennero fatte saltare in aria con la dinamite.

All’inizio di agosto, venne indetto un altro sciopero.

Il giorno di ferragosto, al calar della notte, un gruppo de La Bande Noire saccheggiò un’armeria nella località detta Champ du Moulin e subito si diresse verso il bosco di Verne.

Dopo qualche ora, nel cuore della notte, una folla di circa duecento persone sfilò per i paesi circostanti alla luce delle torce, brandendo le armi e gridando: “Viva la Comune! A morte i borghesi!

Constatando che nessuno osava unirsi alla sommossa, La Bande Noire tornò a disperdersi nei boschi.

La mattina dopo, la zona venne occupata dall’esercito. Vennero arrestati alcuni minatori, tra cui un tale Devillard, a cui si rimproverava di essere stato alla testa dell’assalto alla caserma.

Ma la repressione per questo goffo tentativo d’insurrezione, non si limitò alla riottosa zona mineraria di Saône-et-Loire, anzi, servì per fare pulizia di elementi pericolosi un po’ per tutta la Francia.

Si volevano colpire coloro che le autorità ritenevano i capi di questo oscuro complotto internazionale che mirava a minare qualsiasi principio di potere.



Arresto di membri de La Bande Noire

Eppure, nel mezzo del bosco, nelle notti senza luna, La Bande Noire continuò ad aggirarsi. Di tanto in tanto, qualcuno di questo gruppo di insonni usciva fuori da quel groviglio di alberi e di vegetazione, colpiva e tornava a perdersi.

Molte delle notti dell’anno 1883 vennero scosse dalle esplosioni di piccole bombe che, solitamente, distruggevano le porte delle abitazioni di quei minatori che venivano indicati come “mouchards” (informatori).

Ma non erano ordigni pensati per far male alla persona, come invece quelli piazzati nelle case degli ingegneri o di chi era alle dipendenze del grande nemico Chagot.

Le bombe che, per esempio, colpirono l’abitazione dell’ingegnere Michalovski in ben tre occasioni, il 12 maggio, il 5 giugno ed il 30 ottobre del 1883, vennero piazzate in camera da letto, anche se il buon uomo scampò miracolosamente alla morte tutte e tre le volte.

Questa ondata di attentati andò avanti fino al novembre 1884, quando un giovane minatore di nome Gueslaff cadde nella trappola di un agente provocatore al soldo del commissario Thévenin. Sentendosi tradito, il giovane avrebbe fatto alcuni nomi.

Una decina di persone vennero condannate alla deportazione.

La Bande Noire continuò a vivere nei boschi la notte.

Qualche ordigno esplose anche nel 1885, ma erano sempre meno.

Piano piano, il bosco si svuotò. Qualcuno degli ex insonni decise di continuare la lotta con mezzi esclusivamente legali, alla luce del giorno. Degli altri non si ebbero più notizie.

MORTE DI UN IMPIEGATO

La polizia non si lasciò sfuggire l’opportunità fornita dalle violente proteste dei minatori e dalle gesta de La Bande Noire.

All’inizio di ottobre del 1882, una serie di perquisizioni vennero effettuate nelle sedi di vari giornali che erano ormai sorti in tutta la Francia, con l’arresto di alcuni dei propagandisti de oratori tra i più conosciuti, soprattutto a Lione e, naturalmente, a Parigi.

Nella notte tra il 22 ed il 23 ottobre, due detonazioni, seguita da una forte esplosione, devastarono il ristorante del teatro Bellecourt, L’Assomoire, a Lione.

Una giovane impiegato di nome Louis Miadre restò ucciso. Numerosi furono i feriti.

Passata una manciata di ore, due candelotti di dinamite vennero lanciati contro il centro di reclutamento dell’esercito della Vitrolerie.

In seguito a quei fatti, la polizia, incitata da una stampa borghese terrorizzata, moltiplicò gli arresti, tra cui quello del “Principe” russo Pëtr Kropotkin, uno dei primi e più famosi teorici dell’anarchismo, che dal 1881 si era stabilito a Thonon.

Tutti gli arrestati, che alla fine furono 51, vennero accusati di far parte di una “associazione di malfattori”, intendendo con questa l’Internazionale antiautoritaria.

Élisée Reclus, geografo di una certa fama e anarchico, chiese e ottenne di essere arrestato e processato per lo stesso reato.

A Lione accorse anche Louise Michel. Tenne alcune conferenze e cercò anche di organizzare una sollevazione di piazza fino a che non fu arrestata ed espulsa dal territorio lionese.

Esplosione al ristorante L’Assommoir

Il processo iniziò l’8 gennaio 1883, con 66 accusati, di cui 14 di essi latitanti.

Il crimine che li si contestava era “di essere stati affiliati o aver fatto atto di affiliazione ad una società internazionale, avente come fine di provocare la sospensione del lavoro, l’abolizione del diritto di proprietà, della famiglia, della patria, della religione, e di aver commesso un attentato contro la quiete pubblica”.

Gli imputati vennero divisi in due categorie: quella dei semplici “aderenti” e quella dei “responsabili”, in cui ricadevano tra gli altri Kropotkin, Emile Gautier, Toussaint Bordat e Joseph Bernard.

Nonostante gli attacchi della stampa borghese, che li qualificava come “poveri diavoli dal cervello deviato”, “allucinati, più degni di una clinica di salute che di un cortile di una prigione” o “pazzi furiosi, un branco di esseri pieni di odio e cattivi”, il processo si trasformò ben presto in una tribuna di propaganda.

Il 19 gennaio, una settimana prima della sentenza, gli imputati lessero una propria dichiarazione spiegando i principi dell’ideale anarchico e difendendo il diritto alla libertà e all’uguaglianza.

Il 27 gennaio successivo vennero pronunciate le sentenze. Per i componenti della prima categoria, i semplici aderenti, le condanne furono tra i 6 mesi e i 3 anni di carcere; per i cosiddetti responsabili, le condanne variarono tra i 4 e i 5 anni.

Tra i latitanti condannati in quest’ultima categoria c’era anche un certo Antoine Cyvoct.

Il nome di Antoine Cyvoct era restato sconosciuto alle autorità fino all’agosto del 1882, quando questi era stato nominato dai suoi compagni gestore del giornale anarchico lionese L’Etandard revolutionaire (lo stendardo rivoluzionario).

Non era certo passato molto tempo prima che la giustizia borghese lo chiamasse a rispondere di “incitamento all’omicidio a al saccheggio”, per un discorso pronunciato durante un comizio.

Interrogato per questo il 7 ottobre dal giudice istruttore, Cyvoct aveva preferito non comparire al processo fissato dopo dieci giorni e si era rifugiato in Svizzera.

Per quel discorso era stato condannato in contumacia a 3 anni di carcere e a 3.000 franchi di multa.

Il suo nome era stato messo anche tra i 66 del processo di Lione e en aveva ricavato un’altra condanna, sempre in contumacia, ad ulteriori 5 anni di carcere ed altri 3.000 franchi di ammenda.

Ciò che invece Cyvoct non poteva immaginare era che, nel frattempo, le indagini per la morte del giovane impiegato al ristorante L’Assomoir si stavano concentrando su di lui.

Secondo i testimoni, due uomini e una donna avevano lasciato il luogo poco prima dell’esplosione, e uno degli individui portava un pince-nez con lenti blu.

Da questo particolare erano partite le investigazioni che avevano dapprima portato all’arresto di Antoine Desgranges, rapidamente rilasciato, poi si erano concentrate su Cyvoct, dopo che il commissario Perraudin aveva informato il procuratore che, proprio il giorno dell’attentato, l’anarchico era stato avvistato a Lione, che avrebbe poi lasciato il giorno successivo.

Oltre a questo, l’accusa si basava su un articolo comparso sul giornale Le Droit sociale (il diritto sociale) del 12 marzo 1882 e a lui attribuito in cui, tra le altre cose, parlando del teatro Bellecourt, c’era scritto:

Vi si vede, soprattutto dopo la mezzanotte, il fior fiore della borghesia e del commercio. Il primo atto della rivoluzione sociale dovrà essere quello di distruggere queste tane”.

Nel frattempo, Cyvoct, con il suo amico Paul Métayer, si era trasferito a Bruxelles, in Belgio, ed entrambi, sotto falso nome, si erano iscritti al corso di chimica della Scuola industriale.

Il 23 febbraio del 1883, un esperimento a domicilio aveva provocato un’esplosione che aveva ucciso Métayer. Arrestato per uso di false generelità e per fabbricazione di armi proibite, Cyvoct era stato assolto per quest’ultima accusa ma si era fatto 3 mesi di carcere per la prima, al termine dei quali fu estradato in Francia.

Cyvoct nel 1883

Cyvoct comparì davanti al giudice Vial l’11 dicembre 1883.

lui si difese negando risolutamente di mai tornato a Lione e di aver scritto l’articolo apparso su Le Droit social.

Il principale teste dell’accusa, il commissario Perrraudin, confermò invece il contrario senza, però, svelare le sue fonti.

Finalmente,all’inizio di febbraio del 1884, la giuria a maggioranza quasi assoluta emise il verdetto d’innocenza per l’omicidio dell’impiegato, ritenendo Cyvoct colpevole solo del reato di complicità e di incitazione a mezzo stampa.

Il sospiro di sollievo di Cyvoct, però, durò ben poco.

Il giudice Vial lo condannò ugualmente, tra l’incredulità di tutti i presenti in aula, alla pena di morte.

I giurati, forse più sbigottiti dello stesso Cyvoct, com’era nei loro diritti, fecero immediatamente appello di grazia.

Antoine Cyvoct non ci rimise la testa solo perché la grazia venne concessa il 22 febbraio 1884. La pena fu commutata nei lavori forzati a vita e alla relegazione.

Il 6 giugno successivo, Cyvoct venne imbarcato con destinazione Nuova Caledonia.

LA BANDIERA NERA

Non più la bandiera rossa, bagnata dal sangue dei nostri soldati! Isserò la bandiera nera, che porta il lutto dei nostri morti e delle nostre illusioni!”, disse, anzi urlò, Louise Michel sfilandosi la vecchia gonna nera de issandola su di un manico di scopa, prima di partire alla testa del corteo di 15.000 disoccupati agli Invalides.

Era il 9 marzo del 1883 quando, al grido “O il lavoro o il pane!” , numerose panetterie vennero saccheggiate durante il percorso.

La manifestazione dei disoccupati del 1883

Dopo tre estenuanti settimane di caccia del gatto al topo, Louise venne arrestata per essere stata l’ispiratrice dei saccheggi.

Insieme ad Emile Pouget, che era al suo fianco il giorno della manifestazione, venne accusata di “attentato alla sicurezza dello Stato”, dato che quel corteo di disoccupati avrebbe potuto facilmente sfociare in insurrezione.

Louise comparve davanti al tribunale il 22 giugno.

C’è qualcosa di più importante, in questo processo, della sottrazione di qualche pezzo di pane. Si tratta di un’idea che si giudica, si tratta delle teorie anarchiche che si vogliono condannare”.

Come volevasi dimostrare, la condanna fu assai pesante. Sei anni di carcere più due di alta sorveglianza.

Louise aveva allora 53 anni.

Paul Curien era un giovane inquieto. Nato nel 1866, suo padre, un ufficiale dell’esercito, era morto quando lui era ancora piccolo e sua madre si era risposata con un negoziante di Lille.

Il nuovo padre, evidentemente, non lo voleva intorno. Il giovane Paul così era stato affidato ad un collegio militare, da dove era stato espulso per indisciplina. Poi, lo avevano messo a pensione dai frati, ma anche lì lo avevano rimandato indietro i suoi maestri, disperati dal suo comportamento.

A quindici anni, Paul cominciò allora a lavorare prima come dipendente di un commerciante di tessuti, poi come aiuto-tagliere presso un confezionatore, ma erano mestieri che non gli piacevano.

Tentò allora come apprendista in due macellerie e in una panetteria, ma tutte le volte fu cacciato a causa delle sue idee politiche di stampo socialista.

Sempre a causa di queste idee, la tensione ed i violenti alterchi con il patrigno erano costanti e Paul, per ben tre volte, era fuggito di casa. Una volta era stato ritrovato mentre vagabondava per Parigi, mentre un’altra era stato era stato rintracciato a Douai giusto in tempo per impedire che si suicidasse.

Sembrava aver finalmente aver trovato una certa stabilità quando era stato assunto nella panetteria di Monsieur Boeuf, uno che al contrario dei precedenti datori di lavoro sembrava molto più liberale.

Paul aveva potuto così iscriversi ad un’associazione operaia, Les Amis du progrès (gli amici del progresso), e ad avere accesso alla stampa anarchica di Lille, La Lutte e Le Forçat. La sua eroina eraa, senza ombra di dubbio, Louise Michel.

Fu forse l’arresto di quest’ultima che fece scattare qualcosa nella testa di Paul.

Passò qualche mese elaborando, rimuginando, ripassando un’idea: quella di uccidere il Presidente del Consiglio, Jules Ferry.

Il 10 novembre del 1883, Paul Curien, allora ancora diciassettenne, prese un treno con destinazione Parigi. In tasca aveva 35 franchi, frutto di fatture incassate per conto del suo datore di lavoro, de un revolver, sempre sottratto al povero Monsieur Boeuf.

Il giorno dopo, Paul si presentò nella portineria della presidenza, domandando all’usciere di incontrare il signor Primo Ministro. Alla richiesta di questi se avesse con sé una lettera di raccomandazione, il giovane rispose di essere il delegato di un’associazione operaia di Lille.

Paul fu allora condotto verso la segreteria del Presidente. Ad un certo punto, sicuramente tradito dal nervosismo e dalle emozioni, si precipitò verso una porta estraendo il revolver, credendo, a torto, che fosse quella che lo separava dal suo obbiettivo.

Purtroppo per lui, l’usciere diede prova di una grande prontezza di riflessi e riuscì ad afferrarlo. En nacque una breve colluttazione, durante la quale pare che Paul si fosse messo a gridare:

Sono anarchico; quando lavoro, guadagno 2,5 franchi al giorno, e voi, voi rubate milioni!

immobilizzato, venne poi condotto al ministero di Giustizia. Attraversando i corridoi del palazzo, Paul continuò a gridare:

Viva la Comune! Viva l’Anarchia!”, mentre gli impiegati accorrevano alle finestre per ammirare lo spettacolo.

Paul Curien fu giudicato il 4 gennaio 1884. gli furono riconosciute le attenuanti della giovane età e fu condannato a tre mesi di reclusione, scontati i quali fece ritorno dalla sua famiglia a Lille.

Il patrigno e la madre avevano già deciso la sorte del giovane dietro suggerimento del prefetto della regione Nord. Lo aspettava un posto nell’amministrazione coloniale a Panama, lontano dalla Francia e dalle sue tensioni, lontano finalmente da una famiglia che non lo aveva mai veramente voluto.

Una volta attraversato l’Atlantico, Paul prese servizio al suo nuovo posto di impiegato di ultima classe. Ça va sans dire, che anche quel posto non durò che lo spazio di pochissimi mesi.

Nel marzo del 1885, arrivò a Panama la notizia di una rivolta nella città di Colon.

Paul non ci pensò più di una volta e se ne partì per raggiungere gli insorti.

Ferito da due proiettili alla coscia, Paul Curien morì qualche giorno dopo nell’ospedale di Panama.

Louise stava scontando la sua pena a Clermont-de-l’Orse, quando le arrivò la notizia delle gravi condizioni in cui versava sua madre Marianne.

Grazie anche all’intercessione del suo amico Clemenceau, Louiese ottenne il permesso di poter assistere al suo capezzale, bene inteso scortata da alcuni agenti.

Louise restò a Parigi dal 12 dicembre del 1884 al 3 gennaio 1885, data del decesso di sua madre. Ma non le fu concesso di assistere ai funerali, che vennero celebrati due giorni dopo, alla presenza di una folla di 6.000 persone.

Finalmente, l’anno successivo, Louise poté beneficiare di una grazia presidenziale rivolta ad alcuni prigionieri anarchici, tra i quali il “Principe” Kropotkin, anche se le autorità penitenziarie ebbero il loro bel daffare per convincere la donna a lasciare la sua cella, in quanto da fiera nemica dello Stato non voleva profittare di un provvedimento che veniva direttamente dal più alto rappresentante di ciò che lei combatteva.

Non si trattò tuttavia che un arrivederci. Le patrie galere avrebbero rivisto Louise Michel molto presto e, naturalmente, a più riprese.