TANGO ONE IS DOWN [1994]

Tutti coloro che mettono mano alla spada,

di spada periranno.”

Matteo 26:52

[Necrologio su un giornale di Dublino]

Tango One is down … Tango One is down …”, gracchiava la radio delle auto della polizia, quel pomeriggio del 18 agosto.

Possiamo confermare che Tango One is down. Tutte le auto si rechino sul posto …”

Incrocio tra Oxford Road e Charleston Road …”

Le altre chiamate di emergenza devono essere messe in attesa. Tango One is down e deve avere la priorità.”

Tango One, per la polizia irlandese.

The General, per la stampa e la televisione.

Martin Cahill, per il resto della gente di Dublino.

La Garda (Garda Síochána na hÉireann, il corpo di polizia della Repubblica d’Irlanda) esultava, quel pomeriggio del 18 agosto, per la morte di colui che, ormai da anni, considerava come il nemico numero uno.

Le pattuglie in servizio che precipitosamente accorrevano verso l’incrocio tra Oxford e Charleston Road non lo facevano certo per amore della giustizia.

Tango One, per loro, era la rappresentazione del nemico, l’uomo capace di tutto, il male che si manifesta sotto forme inaspettate. Molto, molto più odiato di chi, in quegli anni, in quei luoghi, agiva attraverso formazioni paramilitari, in un misto di religione, politica e nazionalismo, in una guerra strisciante che sembrava non avere mai fine.

Molti Gardai venivano solo per vedere finalmente il volto di Tango One, il nemico numero uno.

The General, invece, lo chiamavano i mezzi d’informazione.

E questo era dovuto al fatto che i vari giornalisti avevano paura di chiamarlo con il suo vero nome per paura di una denuncia per diffamazione. D’altronde, che potevano fare? Incolpare un figlio del ghetto per ogni misfatto che avveniva a Dublino, con le sue generalità, quando polizia e tribunali sembravano non poterci fare niente.

In più, The General, era stato il personaggio perfetto per loro – fonte inesauribile di notizie da prima pagina, scoops, aneddoti, voci e illazioni di ogni tipo, leggende … Tutte cose che il diretto interessato tendeva anche a diffondere e amplificare.

Sì, perché il nemico numero uno rilasciava tranquillamente interviste, si faceva fotografare, anche se sempre a volto coperto, certo.

Lo presentavano così, come un padrino, un superboss, una vera e propria rock star …

Un vero figlio del popolo, invece, era Martin Cahill per la gente di Dublino.

Nato nella classica famiglia povera e numerosa il 23 maggio 1949, da un padre alcoolizzato e da una madre fervente cattolica, in un distretto periferico a nord della città. Già da piccolo, con il fratello maggiore John, cominciava con piccoli furti in mercati e negozi per contribuire in qualche modo alla precaria situazione economica familiare.

Nel 1960, i Cahill furono costretti a trasferirsi in un piccolo appartamento al numero 210 di Captains Road a Crumlin, da un piano urbanistico che prevedeva la demolizione del quartiere dove Martin aveva visto la luce.

Martin, naturalmente, frequentava una scuola cattolica ma, fuori dal rigido ambiente educativo, continuava con i piccoli furti insieme ai fratelli – oltre al già citato John, Eddie, Anthony, Michael e Paddy. Una vera e propria gang di strada in miniatura.

Martin venne beccato una prima volta, proprio nel ’60, per violazione di domicilio e una seconda sempre per lo stesso reato, cinque anni dopo. In quest’ultima occasione gli venne comminata la sua prima condanna: due anni richiuso in un collegio cattolico di provincia.

Mentre era là, avvenne uno degli avvenimenti più importanti della giovane vita di Martin. La sua famiglia veniva sgomberata dalla Dublin Corporation, proprietaria dell’appartamento dove abitavano, e trasferita d’ufficio nel quartiere di Hollyfield per morosità dell’affitto.

Hollyfield. Più che un quartiere, un ghetto. L’ultima tappa prima della vita in strada, prima dell’inferno vero e proprio. Popolato da chi non ce la faceva più a sostenere il peso di un affitto, appunto, ma anche da debitori di ogni tipo, alcoolisti, giocatori d’azzardo, disoccupati di lunga durata, ecc.

Senza dubbio, il peggior quartiere di Dublino, sotto molti punti di vista, ma anche un posto dove si sviluppava, forzatamente quasi, un fortissimo senso di lealtà verso i parenti e gli amici e, parallelamente, un enorme disprezzo per l’autorità in tutte le sue forme.

Un quartiere-ghetto che doveva accogliere il giovane Martin come un suo figlio naturale, al suo ritorno dal collegio. E Cahill gli sarebbe stato riconoscente fino alla fine dei suoi giorni.

Poco dopo la sua messa in libertà e del suo arrivo a Hollyfield, Martin conobbe Frances Lowless e si sposò.

Lui continuava imperterrito a fare il lavoro di sempre, coadiutavato dai fratelli, ma Frances, vedendolo regolarmente uscire di casa la mattina presto e rientrare la sera alle sette, si illudeva che suo marito avesse un regolare lavoro. Tutto ciò, naturalmente, fino a che non se lo vide, un bel giorno, portare via in manette dalla Garda davanti ai propri occhi.

la scuola riformista è stata la mia scuola elementare, l’istituto St. Patrick il mio liceo, ma il carcere di Montjoy è stato la mia università. Là ho imparato tutto ciò che so”.

Il salto di qualità nella carriera di Martin e i suoi fratelli, che fino a quel momento si erano limitati ai semplici furtarelli con destrezza, si ebbe però nel 1967, quando la gang riuscì a penetrare all’interno di un magazzino di armi confiscate dai Gardai. A quel punto, con un arsenale a disposizione, i Cahill si unirono ad un’altra gang formata da fratelli, quella dei Dunne. Cambiarono gli obbiettivi e, di conseguenza, anche l’entità dei bottini. E si può dire che il nome di Martin Cahill cominciò a farsi strada nel mondo della criminalità organizzata.

Eppure, anche se nel corso degli anni venne più volte accusato dalla polizia e descritto dai mezzi di comunicazione come un padrino in piena regola, Martin avrebbe sempre rifiutato con disprezzo questa definizione che gli si voleva affibiare a tutti i costi.

Non esiste un leader. Non ci può essere un leader con questo tipo di uomini. È gente diversa che sta insieme e che discute le cose. Alcune persone sono meglio in alcuni affari rispetto ad altri.”

Nel 1970, Martin venne nuovamente arrestato e condannato ad una pena di quattro anni per ricettazione.

Mentre lui era dentro, venne trasferito nella caserma della Garda del distretto di Rathmines, di cui Hollyfield faceva parte, l’ispettore Neil Ryan, destinato a diventare in breve uno dei più grandi nemici di Cahill e della sua banda. Ciò che Martin più odiava nel poliziotto, oltre al mestiere in quanto tale, era suo spietato ricorso alla tortura per estorcere confessioni, che in numerosi casi risultavano anche non veritiere.

Pochi mesi dopo il suo rilascio, nel 1974, sospettato di essere uno degli autori della rapina ad un furgone blindato della Securicor, che aveva fruttato un bottino di 93.000 sterline, Martin Cahill si trovò per la prima volta ad affrontare l’ispettore Ryan ed i suoi metodi.

Cahill però era fatto di un’altra pasta. Lui non parlava, lui resisteva. Al proposito, avrebbe anche dichiarato che per lui era una cosa abbastanza facile. Aveva il suo metodo:

Basta scegliere un punto sul muro e osservarlo.”

Ciò, però, non voleva dire che il suo odio nei confronti dei Gardai non aumentasse sempre più …

L’ultima volta che riuscirono a beccarlo ed a rinchiuderlo in una cella fu alla fine degli anni settanta, per un banale furto di auto. Venne condannato a scontare tre anni.

Proprio in quel periodo, la Dublin Corporation decise di demolire il palazzo che lo aveva ospitato fin da adolescente. Per Martin, una vera e propria dichiarazione di guerra.

Cahill cercò in tutti i modi di impedire la cosa, sia dispensando consigli legali a parenti e amici della sua cella, sia facendo il diavolo a quattro tutte le volte che veniva trascinato in tribunale per qualche pendenza. Invano. La costruzione, alla fine, venne buttata giù.

Martin, tuttavia, non si rassegnò affatto davanti al fatto compiuto e, una volta scontata la pena, tornò ad occupare le macerie del luogo in cui aveva abitato, armato di una tenda canadese.

La leggenda narra che fu necessario l’intervento diretto del sindaco di Dublino dell’epoca, Ben Buscoe, per farlo desistere.


Che cosa è il crimine?

La disoccupazione è un crimine. Il salario che pagano ai giovani è un crimine. D’y’understand?”

Verso la fine del 1981, Martin e il suo socio Christy Dutton rapinarono la Quintin Flynn Ltd., un’azienda che vendeva e noleggiava videogiochi. Presero 5.724 sterline, quasi una miseria, e fuggirono in moto.

Pochi giorni dopo, i due vennero fermati in strada dalla Garda. I dipendenti presenti al momento della rapina, tuttavia, non li riconobbero per cui, l’unica speranza per incastrarli in sede processuale, rimase quella delle analisi scientifiche sui loro caschi, guanti e giacche da motociclisti. Dette analisi vennero affidate al capo della scientifica James Donovan, già protagonista delle condanne di due dei fratelli di Martin, Anthony ed Eddie.

In tribunale, però, il clamoroso colpo di scena. Le anlisi scientifiche effettuate sugli oggetti sequestrati a Martin e Dutton, risultarono manipolate da parte dei periti della pubblica accusa in modo tale da far pendere il verdetto dalla parte della colpevolezza. Risultato: assoluzione piena dei due imputati.

A quel giorno risale la celebre foto che ritrae Martin Cahill all’uscita del tribunale che festeggia a modo suo il verdetto sotto lo sguardo divertito dei passanti: un passamontagna a coprirgli il volto, una maglietta con impresso Mickey Mouse (sua grande passione) e mutande.

Ma quella storia non certo finita con quell’improvvisato streaptease.

Il 6 gennaio 1982, l’auto di Donovan saltava in aria mentre questi si stava recando in ufficio. Il capo della polizia scientifica di Dublino ne uscì miracolosamente vivo, anche se ferito gravemente, ma, ormai, era chiaro che, l’acceso confronto tra Cahill e le forze dell’ordine irlandesi aveva inesorabilmente preso la strada del non ritorno.

Eppure, nonostante la stretta sorveglianza a cui era sottoposto, Cahill e i suoi sembravano aver appena incominciato con le loro imprese.

Nell’estate del 1983, portarono a termine la clamorosa rapina alla gioielleria O’Connor’s in Harold Street, rubando oro e preziosi per un valore di 1,5 milioni di sterline, l’equivalente a 2,55 milioni di euro di adesso.

L’operazione fu perfettamente pianificata ed eseguita, con uso di furgoni, walkie talkie e fumogeni. Il clamore, ovviamente, fu enorme, amplificato dal fatta che O’Connor, assicurata per “soli” o,9 milioni di sterline, fu costretta a dichiarare la bancarotta.

Un episodio venne, a quanto pare, a turbare il successo della rapina. Si disse che uno dei partecipanti al colpo avesse deciso di far sparire a suo pro una parte dell’oro trafugato. Secondo quanto poi anche riportato dal suo biografo Paul William, Martin e alcuni dei suoi soci rapirono il presunto colpevole e lo torturarono per farlo confessare. Iniziarono dapprima con schiaffi e pugni, e finirono con crocifiggere l’uomo ad alcune assi di legno. Poichè l’uomo continuava a negare, Cahill avrebbe finito per credergli e lo avrebbe poi accompagnato personalmente all’ospedale.

Questa versione dei fatti, in seguito, venne seccamente smentita dalla figlia maggiore di Martin, nel suo libro sul padre, e, parzialmente, anche dal diretto interessato in una delle tante interviste.

Ho sentito la storia. Posso solo dire che ci potrebbe essere qualche verità in essa, ma io non c’ero in quel momento.”

Nel maggio del 1986, la banda di colui che era considerato ormai il criminale più pericoloso in terra irlandese, portò a termine quello che risultò essere il secondo furto in ordine d’importanza nella storia dell’arte nel mondo.

Un gruppo di ladri, intorno alla mezzanotte, penetrò all’interno della Russborough House, nella contea di Wicklow, riuscendo a trafugare undici dipinti della collezione di Sir Alfred Breit. Volore della merce rubata: oltre 30 milioni di sterline.

Questo colpo rappresentò il culmine della carriera criminale del nostro Martin. A partire da quel giorno, iniziò una lenta ma inesorabile caduta. Una caduta che cominciò con il progressivo arresto, e relativa condanna, dei suoi soci e amici più fedeli.

A questo va aggiunto, anche il fatto di aver mai voluto mai scendere a patti con le potenti e onnipresenti organizzazioni paramilitari presenti in Irlanda, repubblicane o unioniste che fossero.

Si racconta una storia, del tutto verosimile visto il personaggio. Si dice che un portavoce dell’I.R.A., evidentemente colpita dalle cifre dei colpi portati a termine da Martin e i suoi, fosse andato a chiedere una percentuale a mo’ di contributo alla causa. E pare che la risposta di Cahill fosse stata:

Quelli dell’I.R.A. Hanno bisogno di soldi? Che se ne vadano a lavorare …”

Ma, quelli dell’I.R.A., non erano proprio famosi per il loro senso dell’umorismo …

In realtà, nonostante le cifre da capogiro che giravano attorno al suo nome, Martin non aveva cambiato poi molto il suo stile di vita.

Innanzitutto, non si era mosso dal quartiere-ghetto di Hollyfield. Possedeva una modesta casa in Swann Groove, dove viveva con Frances, e un’altra, un poco più confortevole, in Cowper Down, che condivideva con la sua amante, che altri poi non era che la sorella di sua moglie. Situazione, questa, accettata da tutte le parti in gioco, tanto che Cahill, in totale, ebbe cinque figli dalla moglie, e quattro dall’amante.

Continuava a vestire come uno dei tanti pezzenti della zona, con roba brutta sporca e vecchia.

Eppure era felice. Il sorriso sempre sulle labbra, la battuta pronta e tagliente.

Gli unici vezzi, se si esludono gli amori, sembravano essere la Harley Davildson e la Mercedes parcheggiate sotto casa, che nessuno osava rubare perché tutti, ma proprio tutti, nel quartiere, sapevano a chi appartenessero.

Nell’agosto del 1987, alcuni uomini mai identificati riuscirono ad eludere i sistemi di allarme del palazzo della Direzione della Procura e, una volta all’interno, distrussero circa 145 tra cartelle e dossier, tra cui tutto ciò che riguardava Martin Cahill.

Poco dopo questo episodio, il riconosciuto criminale numero uno chiese, e ottenne, con grande sbigottimento dell’opinione pubblica, il sussidio di disoccupazione e di sostegno ai figli, che lui senza dubbio aveva, di 100 sterline alla settimana.


Altro scandalo il 10 febbraio 1988, quando la rete televisiva RTE mandò in onda un documentario a lui interamente dedicato, in cui, dopo pochi minuti, un uomo con la testa coperta da un cappuccio e con il bavero rialzato veniva avvicinato dal giornalista.“Qualsiasi cosa dite che io sia, io non lo sono …”

Per la Garda, la misura era evidentemente colma. Rapine, furti, provocazioni a non finire (tra cui quella famosa in cui Cahill e i suoi si divertirono a scavare una moltitudine di buche supplementari nel campo di golf privato della polizia e dopo telefonarono alla centrale per lamentarsi del terreno di gioco), sussidi, interviste …

La Garda, nel dicembre del 1988, si decise ad istituire una Special Surveillance Unit, con il nome in codice di “Tango Squad”. Una squadra di settanta agenti dedicata al controllo ventiquattr’ore su ventiquattro del loro nemico giurato.

Nome in codice dell’obbiettivo: “Tango One”, naturalmente, con numerazione a crescere per gli altri membri conosciuti della gang.

La sorveglianza non era nemmeno così tanto nascosta. Una o due macchine stazionavano sotto ognuna delle due case di Martin.

Cahill, che poche volte in vita sua si era fatto vedere pubblicamente in faccia, usciva di casa con cappuccio e sciarpa sul viso, o meglio, scendeva in strada un individuo della sua stessa corporatura, di cui a mala pena si distingueva il naso, che portava in giro tre o quattro agenti per le strade ed i vicolo di Dublino …

Ho dovuto fare un po’ più di attenzione a dove vado. Ho continuato ad essere me stesso, mi piace stare da solo. Mi tenevo sempre nelle strade principali. Vedi, io conosco Dublino come il palmo delle mie mani. Li potevo seminare molto velocemente, ma non li volevo perdere di vista. Non volevo fargli vedere le mie scorciatoie.”

d’altronde, ben pochi degli stessi poliziotti incaricati della sua sorveglianza sarebbero stati in grado di riconoscerlo davanti ad una corte …

La Tango Squad, tuttavia, riusciva a fare il vuoto attorno a lui. Beccarono fratelli e parenti, come Eddie e John Fay, il marito della sorella, i soci della prima ora, come “Shavo” Hogan, “The Viper” Foley e Christy Dutton, senza contare quelli coloro che riusciva anche a far “cantare”, come per esempio lo stesso Shavo (che proprio per questo rischierà di perdere le orecchie a seguito di un’agressione in carcere).

Insomma, il cerchio si stringeva.

A riprova di ciò, venne il tentativo di rapina alla National Irish Bank.

Un colpo progettato male, malissimo. Che faceva denotare la carenza di mezzi, immaginazione, destrezza che avevano sempre caratterizzato le clamorose imprese precedenti.

Un piano che includeva il sequestro della famiglia di Jim Lacey, direttore della filiale College Green. Lui, Martin, che le voci del ghetto, narravano essersi sdegnosamente rifiutato di partecipare ad un piano di sequestro dei bambini del cantante della più nota rock band irlandese …

Per una cifra, poi, che risultò essere di sole 250.000 sterline, presenti quel giorno nel caveau della banca.

Colpo abbandonato precipitosamente in corso d’opera quando ormai era chiaro che ciò che avrebbero ottenuto di meglio sarebbe stata la pelle.

Questo avveniva nel 1993.

Quel pomeriggio del 18 agosto del 1994, Martin uscì per andare a restituire la video cassetta del film “Bronx”. Erano circa le tre del pomeriggio.

Con la sua Renault 5, Martin arrivò all’incrocio tra Oxford Road e Charleston Road e si fermò al semaforo. Nessuna macchina dei Gardai sembrava averlo seguito.

All’improvviso, gli si affiancò una motocicletta. Martin ebbe appena il tempo di vedere che l’uomo che stava dietro impugnava una pistola. Il killer esplose due colpi. Il primo lo raggiunse alla testa. Il secondo al collo.

Martin si accasciò sul volante, il piede, per riflesso, schiacciò l’acceleratore e la macchina sbandò fuori strada sulla destra andando a finire la sua corsa contro un palo del telegrafo.

Il killer si avvicinò a piedi, sparò altre tre volte al corpo inerme di Cahill, poi risalì sulla moto, scomparendo per sempre in direzione di Rathmines.

Fu in quel momento che le radio a bordo delle auto della polizia cominciarono a gracchiare: “Tango One is down …”

La cosa peggiore che puoi farmi è uccidermi, e anche così, dopo non mi importerà, continuerò ad essere libero …”


Una delle cose più curiose dell’attentato a Martin Cahill, oltre al provvidenziale buco nella sorveglianza della Tango Squad, fu il fatto che l’atto fu rivendicato, in due distinti comunicati, da due diverse organizzazioni paramilitari cattoliche da anni in guerra tra di loro – l’I.N.L.A. (Irish National Liberation Party), ala militare del I.N.S.P., un partito nato da una scissione dello Sinn Fein nel 1974, e Provisional I.R.A., dissidenti che criticavano l’Official I.R.A. perché troppo socialisti. Una battaglia a colpi di comunicati, fino a che quest’ultima non fornì particolari sull’assassinio incontrovertibili.

Sì, ma perché?

La motivazione insinuata nei comunicati del P.I.R.A. Era che Martin Cahill fosse coinvolto in un grosso traffico di droga i cui proventi andavano a finanziare l’U.V.F., l’ala militare del partito unionista. Tesi ripresa poi nel libro di Paul William, fondata sul fatto che un paio di soci di Martin proprio quello stavano facendo, anche se niente, nella vita del nemico numero uno dell’ordine pubblico irlandese, faceva pensare ad una qualche connessione con il mondo dei trafficanti.

The General” è stato il nome che gli è restato appiccicato addosso, il soprannome con cui forse sarà ricordato nella storia della cronaca nera – immortalato in una pellicola con questo titolo, citato indirettamente in altri film …

Probabilmente, Martin sarebbe andato al cinema il giorno della “prima”, avrebbe cominciato a ridere e poi si sarebbe calmato e ne sarebbe stato anche orgoglioso, alla fine, perchè questo non era nient’altro che un finale degno di una vita vissuta fino all’ultimo.

Continuerò comunque ad essere libero …”