LA VITA È UN INCONTRO TRUCCATO [1918]

Chi vive più di una vita

deve morire più di una morte

Oscar Wilde

La scena è quella di una donna sulla spiaggia che osserva un’imbarcazione a vela che si allontana verso l’orizzonte. Le onde le bagnano i piedi. Lei sospira e, finalmente, alza un braccio per salutare, mentre l’altra mano è appoggiata sul ventre. Le sembra di vedere l’uomo che risponde al saluto, anche se on può esserne sicura. Lei ha saputo da poco di essere incinta. È innamorata e felice. Qualche lacrima le solca il viso. Si rivedranno a Buenos Aires. Così si sono messi d’accordo.

La spiaggia è vicina a Veracruz, in Messico.

La donna si chiama Mina Loy.

L’uomo che se ne sta andando, invece, si chiama Arthur Cravan.

Solo che la scena corrisponde a come lei se la immaginerà dopo perché, in realtà, Mina non era in quella spiaggia. E la spiaggia non è quella.

Mina era già a Buenos Aires, ad aspettare, quando Arthur era salpato con un’imbarcazione di fortuna. Si erano separati perché non c’erano abbastanza soldi per tutti e due per prendere la nave diretta in Argentina.

I due però sono destinati a non vedersi più. La barca che avrebbe dovuto portare Arthur dalla sua Mina si perderà per sempre nelle acque del Golfo del Messico.

Nemmeno Arthur Cravan si chiamava in realtà Arthur Cravan.

Era venuto alla luce nel 1887 con il nome di Fabian Avenarius Lloyd. In Svizzera. A Losanna, precisamente. Anche se la sua famiglia, evidentemente, veniva dalle isole britanniche. Una famiglia un po’ particolare, comunque.

Questa storia è una combinazione di realtà e finzione – come praticamente tutte le storie, d’altronde – solo che in questa, in particolare, è lo stesso protagonista che fa di tutto per confondere le piste, le tracce, che ingrandisce e dimentica e rielabora, che vive alla velocità della vita stessa, per quanto è possibile, che vuole nascere, vivere e morire più e più volte – perché questa vita gli piace ma anche lo disgusta.

Una famiglia particolare, si diceva. Gente che era stata importante, un tempo non lontano. Storie di parenti che lavoravano a stretto contatto con Sua Maestà. Ma di queste cose, il piccolo Fabian, nato in Svizzera, non può e, all’inizio, non vuole sapere niente.

Tanto più che suo padre Otho se n’è andato via di casa con la giovane figlia del direttore della pensione dove soggiornavano a Losanna per andare a viverci in Italia, ancora prima che nascesse.

E anche se il padre è stato prontamente sostituito da uno nuovo, il dottor Henri Grandjean, un buonuomo in fin dei conti, il ragazzo in questione ha dato segni di essere una persona particolare molto presto.

Si dice che, a nove anni, a scuola, sia considerato come una sorta di piccolo fenomeno con il violino. Che, però, venga espulso per qualche imprecisato motivo.

Faccio molta fatica a far entrare le piccole regole nella testa di Fabian (…). In vita mia non ho mai visto una testa così dura”, dice la madre Nellie.

Si dice anche che, nella scuola privata in cui lo hanno iscritto, certi che la maggior disciplina gli avrebbe portato un qualche giovamento al carattere, il piccolo Fabian arrivi a primeggiare nel nuoto e che sia titolare nella squadra di calcio.

Certo è che, oltre che strano de inquieto, questo bambino viene su sano e forte.

Fabian, poi, viene spedito a Londra per terminare i suoi studi. Un periodo che gli sconvolgerà definitivamente l’esistenza. Un periodo passato, si dice, a dormire sotto i ponti del Tamigi. Un periodo che lo vede alla ricerca delle proprie radici e che lo vede fare la conoscenza di suo zio Vyvyan Hollande, il quale gli svela che la sorella di suo padre, Costance, si era sposata nientemeno che con Oscar Wilde.

Così Fabian viene a sapere della nobile parentela.

Terminati gli studi, inizia un periodo di pellegrinazioni che lo portano in California, da amici di famiglia, dove lavora come raccoglitore di arance, in Australia, in Italia, dove si mette a vendere gioielli falsi, per approdare infine a Berlino, dove altri amici di famiglia gli procurano un impiego come chaffeur in uno zuccherificio.

Nella capitale tedesca, la vitalità e l’irruenza di Fabian trovano finalmente il loro sfogo. Quello che è diventato nel frattempo un ragazzone di quasi due metri di altezza e un quintale di peso, scopre i bar e i bordelli, l’alcool e le droghe, i circoli degli artisti e dei rivoluzionari. Passa da eccesso in eccesso, tanto che su lui cominciano a fiorire leggende di ogni tipo, che Fabian stesso alimenta, come quello che lo vedeva camminare di notte con una puttana seduta su ogni spalla. Fa tanto parlare di sé che, alla fine, viene convocato dalla polizia che gli notifica l’ordine di espulsione: “Berlino non è un circo”.

La prima condizione dell’essere artista è saper boxare” (Arthur Cravan)

Il sogno del giovane Fabian è, comunque, di fare lo scrittore o il pittore.

Volevo creare nuove immagini e non copiare servilmente o cambiare leggermente i pensieri brillanti di certi autori”.

L’eredità di un parente gli permette di coronare il suo sogno, nel 1908, quello di trasferirsi a Parigi, la capitale mondiale dell’arte.

Là, Fabian inizia a frequentare gli ambienti di poeti e pittori, dell’Académie Française, presentandosi a tutti come scrittore. Anche se, in realtà, non è soddisfatto di ciò che scrive. Anche se, in realtà, non gli è stato mai pubblicato niente.

E nel giro di poco il sogno di diventare qualcuno nel mondo dell’arte si trasforma in una critica feroce e violenta di quel mondo e di chi lo popola. In definitiva, Fabian diventa un anti-artista, con attitudini e comportamenti che lo fanno diventare un idolo del futuro movimento d’avanguardia dada.

Ah, gli artisti, me ne frego! Tra poco in strada non vedremo che artisti e avremo tutta la difficoltà del mondo per trovare un uomo”.

Nel 1910, Fabian si iscrive alla scuola di boxe di Cuny e conosce Renée Bouchet, ex fidanzata del pittore Hayden, con la quale terrà una relazione lunga sette anni. È quest’ultimo incontro a portarlo a prendere una decisione, forse, covata da tempo. Quella di cambiare nome.

La giovane Renée, tanto invisa alla madre di lui che, nell’occasione del loro unico incontro, non si degna nemmeno di salutarla, è originaria infatti di Cravans, nel Charente-Maritime, nel sud-ovest della Francia.

E Fabian Lloyd, in suo onore, diventa così Arthur Cravan.

L’etimologia del suo nome è, allo stesso tempo, un luogo, un essere vivente e un verbo. “Cravan” significa “anatra di mare” e “oca tuffatrice” e si lega con il verbo “canarder” che ha almeno due accezioni: prendere il volo e scomparire e schivare o abbassare la testa. Cravan fece tutte queste cose: fuggì, mentì, schivò e scomparve”. [Articolo di Catherine Rendon]

Renée va a vivere nell’appartamento di Arthur al numero 67 di rue de Saint-Jacques, nel Quartiere Latino, e, anche se non arrivano mai a sposarsi, lui la presenta e ne scrive come Madame Cravan.

La vita è Maintenant!

Una rivista. È un’idea che Arthur coltiva da diverso tempo. Ciò che gli manca, così come sarà per tutta la sua vita, è il denaro.

Per questo Arthur va a bussare alla porta dei suoi amici-nemici e chiede un contributo.

Nell’aprile del 1912 esce il primo numero di Maintenant che, per 25 centesimi, offre “poesia, documenti inediti su Oscar Wilde e altre cosa”. Come direttore è indicato lo stesso Arthur Cravan, mentre gli autori degli articoli sono W. Cooper, Edouard Archinard, Robert Miradique e Marie Lowitska, tutti pseudonimi dello stesso Cravan. Sempre lui si incarica di distribuirla, andando in giro con un carretto della frutta per i boulevard, l’ippodromo, fuori dei ristoranti e delle esposizioni d’arte.

La rivista è una miscela micidiale di poesia, polemica, bugie, aggressività, umorismo e volgarità. I primi ad essere colpiti sono proprio coloro che lo hanno aiutato finanziando la pubblicazione – Gide, Picabia, Picasso, Chagall (che Cravan chiama “Chacal”), Susane Valacton (“vecchia puttana”), per finire con Apollinaire e sua moglie, Marie Laurencin. Il poeta non prende molto bene le insinuazioni su di lui (“giudeo”) e, soprattutto, le grossolane parole rivolte alla sua consorte (“è una persona a cui bisognerebbe sollevare la gonna e infilare un gran … in un certo posto”) e invia i suoi testimoni per comunicare a Cravan che lo avrebbe sfidato a duello. La risposta arriva sul numero seguente di Maintenant.

Sebbene io non tema la sciabola di Apollinaire, dato che il mio amor proprio è scarsissimo, sono disposto a fare tutte le rettifiche del mondo e a dichiarare che, contrariamente a ciò che potrebbe lasciar intendere il mio precedente articolo, il signor Apollinaire non è ebreo, bensì cattolico romano. Allo scopo di evitare possibili futuri malintesi, desidero aggiungere che il suddetto signore ha una pancia enorme e che il suo aspetto esteriore si avvicina più a quello di un rinoceronte che a quello di una giraffa. […] Desidero rettificare anche una frase che potrebbe dar luogo ad equivoci. Quando dico, parlando di Marie Laurencin, che è una persona a cui bisognerebbe sollevare la gonna e infilare un gran … in un certo posto, in realtà voglio dire che Marie Laurencin è una persona a cui bisognerebbe sollevare la gonna e infilare un gran planetario nel suo teatro di varietà.

Le risse, già abbastanza frequenti, soprattutto quando Cravan è ubriaco, e ubriaco lo è spesso, aumentano a dismisura grazie alla diffusione della polemica pubblicazione. Una sera, fuori da una galleria davanti alla quale sta distribuendo la rivista, Cravan viene aggredito da una decina di pittori inferociti che, però, ne escono piuttosto malconci.

Di Maintenant usciranno cinque numeri, l’ultimo dei quali porta la data dell’aprile 1915.

All’attività di scrittore/direttore/distributore, Arthur si mette in testa di aggiungerne un’altra. Quella di conferenziere. Certo che le sue conferenze sono un po’ particolari e molto portate a creare scandalo.

L’idea gli viene il 27 luglio 1912, quando va ad assistere alla lettura del Manifesto della donna futurista, nella sala Gaveau. Ben presto il pubblico, che ha fischiato fin dall’inizio, invade la scena e si scatena la rissa. Inutile dire che Cravan si butta subito nella mischia per difendere le futuriste.

Venite a vedere il poeta ARTHUR CRAVAN (nipote di Oscar Wilde) – campione di boxe, peso 105 kg, taglia 2 m. – LA CRITICA BRUTALE – PARLERÀ – BOXERÀ – DANZERÀ

Promette, inoltre, che andrà in scena indossando solo un perizoma e che, alla fine dello spettacolo, si suiciderà davanti a tutti.

L’appuntamento è per il 27 novembre 1913, al Cercle de la Biche in rue des Martyrs in Montmartre e Cravan, suicidio a parte, mantiene le promesse. Insulta i modernisti e i cubisti, balla, boxa e invita i suoi amici sul palco a fare altrettanto.

La seconda conferenza, prevista per il 14 marzo 1914, salta perché, durante un pranzo in un ristorante lo stesso giorno, litiga e viene alle mani con il fratello maggiore così violentemente che deve intervenire la polizia.

Riesce a portarne a termine una terza, il 5 luglio, nella sala delle Sociétés Savantes. Una conferenza che ricalcherà le orme della prima, con accesi toni antiarte, boxe e ballo, ma con l’aggiunta di colpi di pistola (a salve) e lancio di oggetti sul pubblico.

Arthur Cravan crede alla vita moderna ardente, brutale. Questo cinico è un ingenuo, un poeta interessante che crede che una “letteratura acuta” può crescere in apparente violazione della letteratura”. {André Salmon in Gil Blas]

E poi, scoppia la guerra.

Che crepi l’Europa, io non ho tempo!”

Di andare nelle trincee, a fare da carne da cannone, inutile girarci intorno, Arthur non ne ha la minima intenzione.

Si procura quindi un passaporto falso, uno dei tanti nel corso della sua vita, e, con Renée, passa in Spagna.

Lo ritroviamo a Barcellona, dunque, dove insegna boxe nel Real Club Maritimo.

Poche settimane dopo che si è aperto a Zurigo quello che diventerà il famoso Cabaret Voltaire, dove i dadaisti daranno luogo a scandalosi spettacoli ispirati anche dalla figura di Cravan, il nostro Arthur vive uno degli episodi più celebri della sua avventurosa vita. La sfida con l’ex campione del mondo dei pesi massimi Jack Johnson.

Nessuno sa come Arthur abbia fatto ad ottenere l’ingaggio, di certo, la sua fama fasulla di campione di Francia lo ha aiutato a mettersi in contatto con le persone giuste.

L’incontro, al meglio delle venti riprese, viene pubblicizzato come un degli eventi dell’anno.

Il 23 aprile 1915, Arthur Cravan sale sul ring posto nella Plaza de Toros Monumental davanti a cinquemila persone. Il match è praticamente una farsa. Il campione comincia a picchiare fin dal primo istante, anche se non ci va giù troppo pesante, il pubblico fischia, Cravan non fa che subire ma regge fino al quinto round, quando finisce al tappeto una prima volta, il pubblico comincia a tirare oggetti, Cravan si rialza, tra le grida e gli insulti, e riesce a terminare la ripresa. Il sesto round è quello del knock out definitivo. Che fa inferocire le persone presenti e che fa gridare allo scandalo la stampa che presiede l’evento.

Ma Arthur se ne frega altamente. Il suo piano è molto semplice: prendi i soldi e scappa.

Scappa dall’Europa e dalla sua guerra insulsa. Lasciando Renée, i due gatti che tengono e poco altro.

Se ne va in America, a New York, precisamente.

Non è il solo a fare questo viaggio. Sulla stessa nave trova il suo amico-nemico Picabia e fa la conoscenza di Leon Trotsky, che lo citerà nella sua autobiografia. Molte altre celebri e meno celebri personalità del mondo artistico e rivoluzionario li hanno preceduti.

Nella Grande Mela, Arthur vive come un randagio. Dorme in Central Park. Durante il giorno vaga per le strade infinite della metropoli. Quasi tutte le sere va a finire nel Greenwich Village, dove vivono anche molti di quegli artisti amici-nemici della scena parigina. Ne conosce altri. Fa amicizia, in particolare, con Arthur Burdett Frost con il quale comincia ad attraversare la parte orientale degli Stati Uniti. Trova un ingaggio come pugile in un circo e continua a viaggiare, guadagnando finalmente qualcosa.

Ogni tanto torna a New York.

Una sera di queste, si reca nello studio del pittore e milionario Walter Arensberg e, là, fa la conoscenza di Mina Loy.

Lui le dice, – Dovresti venire a vivere con me in un taxi, potremmo avere un gatto …

Lei gli risponde, – E un vaso di gerani alla finestra …

Mina Loy, nome d’arte di Mina Gertrude Lowry, pittrice, scultrice, scrittrice e disegnatrice di moda di origini londinesi. Una donna che ha già viaggiato e vissuto molto, divorziata, con due figli, ammirata per le sue poesie da gente come Ezra Pound, T.S. Eliot, e.e. Cummings e William Carlos Williams.

Arthur si innamora subito. Mina ci mette un poco di tempo in più prima di capire quello strano personaggio e di innamorarsi a sua volta.

Molti anni dopo, nel corso di un’intervista rilasciata ad un giornalista, alla domanda:

– Quali sono stati i momenti più belli della sua vita?

Mina risponderà:

– Tutti quelli passati con Arthur Cravan.

– E quelli più infelici?

– Tutti gli altri.

Il 19 aprile 1917, Arthur viene invitato dal suo amico Duchamp a tenere una conferenza alla Grand Central Gallery, in occasione dell’inaugurazione del Salone degli Indipendenti, dove deve esporre, tra gli altri, insieme a Picabia. Il quale, dal canto suo, non è molto convinto.

Cravan si presenta completamente ubriaco. Davanti ad un pubblico composto soprattutto da “signore eleganti, mecenati d’arte, invitati apposta per essere iniziati ai misteri della pittura futurista” (Danielle Buffet Picabia), Cravan inizia a spogliarsi fino a rimanere completamente nudo, abbozza delle finte e dei ganci, inizia a ballare. Il tutto lo fa fissando il quadro di una donna senza vestiti. All’improvviso, Arthur afferra l’opera, la sbatte al suolo e poi la lancia per le scale. La supposta esibizione o conferenza, che dir si voglia, viene interrotta dall’arrivo della polizia.

Arthur viene rilasciato dopo qualche giorno dietro cauzione che viene pagata dall’amico Arensberg.

La guerra arriva infine anche per gli Stati Uniti, anche se forse sarebbe meglio dire il contrario.

Arthur è in possesso di un improbabile passaporto russo ma decide comunque di non rischiare. Non vuole assolutamente andare a morire perché qualcuno glielo ha ordinato, così passa il Rio Grande a nuoto e, con mezzi di fortuna, raggiunge Città del Messico.

Mina è rimasta a New York e ad Arthur sembra di impazzire.

Mi manchi talmente tanto che mi fa paura. E ci rivedremo? Certe volte, ne dubito. È orribile, è orribile”.

Alla fine, nel gennaio del 1918, lei riesce a raggiungerlo e i due vivono insieme nell’hotel Suárez. Si sposano poco dopo, in aprile.

Nonostante che la vita nella capitale messicana sia a buon mercato, non lo è abbastanza per le tasche del povero Arthur che come unica entrata ha i pochi spiccioli che gli vengono dall’insegnare boxe in una scuola situata nella stessa strada del loro hotel. In più, a Mina sembra non piacere il Messico e gli propone di trasferirsi in Argentina, a Buenos Aires.

Cravan decide allora di ritornare sul ring per tirare su i soldi necessari per affrontare il viaggio. Come al suo solito, non si sa come, Arthur riesce ad organizzare due incontri, uno contro il campione del Messico, tale Honorato Castro, l’altro con il famoso Jim “Black Diamond” Smith, tra l’agosto e il settembre del 1918. Naturalmente, va al tappeto in entrambe le occasioni.

Ma non importa, ora Arthur e Mina hanno il denaro sufficiente per recarsi a Vera Cruz dove li attende una nave in procinto di salpare in direzione di Buenos Aires. Non si sa bene cosa succede, ma la coppia rinuncia ad imbarcarsi e, anche se i giornali messicani parlino di una probabile rivincita con “Black Diamond” a Vera Cruz, partono e raggiungono Salina Cruz, dall’altra parte, sulle coste dell’Oceano Pacifico. In quella città, Mina scopre di essere incinta.

Arthur trova una nave ospedale giapponese che fa scalo a Buenos Aires, ma i soldi che gli chiedono non sono sufficienti per tutti e due.

Vorrei stare a Vienna e a Calcutta, prendere tutti i treni e le navi,

fornicare con tutte le donne e mangiare tutto.

Mondano, chimico, puttana, ubriaco, musicista, operaio, pittore, acrobata, attore; Vecchio, bambino, imbroglione, canaglia, angelo e gaudente, milionario, borghese, cactus, giraffa o corvo; Codardo, eroe, nero, scimmia, dongiovanni, ruffiano, signore, contadino, cacciatore, industriale; Flora e fauna; Sono tutte le cose, tutti gli uomini e tutti gli animali!

Cosa fare?

Lasciateci Buenos Aires.

Mina parte così da sola. Giurano di rivedersi a Buenos Aires, non appena lui troverà il modo di raggiungerla.

L’11 novembre 1918 finisce ufficialmente la Grande Guerra.

Mina, quel giorno è a Buenos Aires e, come fa fin da quando è arrivata, si reca alle poste per vedere se ha ricevuto qualcosa da parte di Arthur.

Quando diventa evidente che gli è successo qualcosa, Mina comincia ad indagare. Quel che riesce a scoprire sono molte voci e poche certezze. Del tutto in linea con il personaggio.

La versione più accreditata, o almeno più verosimile, aldilà delle visioni romantiche di lei, è che Arthur a Slina Cruz aveva incontrato tre emigrati argentini desiderosi anch’essi di ritornare al loro paese e li aveva convinti ad affidargli i loro pochi risparmi per comprare un’imbarcazione in grado di portarli a destinazione. Era partito quindi con una bagnarola alla volta di Puerto Angel dove, aveva detto, c’era il fantomatico venditore.

E non era più tornato. Sparito nel nulla. Nelle acque dell’Oceano Pacifico.

Sparito per sempre?

La prima reazione della madre Nellie, venuta a conoscenza dei fatti attraverso Mina, fu quella di ridere. Conosceva suo figlio.

Mina era tornata a Londra e aveva dato alla luce Fabienne, la figlia di Arthur. Scriveva di continuo a Nellie per sapere se suo marito avesse dato qualche notizia di sè.

Per la madre era ovvio che fosse tutta una messa in scena, il modo contorto del suo Fabian di liberarsi della moglie e della figlia in arrivo. E, in fondo, così sperava anche Mina.

Poi, il tempo aveva continuato a passare, indifferente, e Mina si era rassegnata al fatto che Arthur fosse davvero morto. La madre invece no. aveva cominciato a dar credito alle voci che ogni tanto le arrivavano. Come quella proveniente da Parigi, dove qualcuno diceva di averlo visto mentre tentava di vendere lettere originali di Oscar Wilde.

Anche la presunta morte era, nel frattempo, diventata una leggenda dai mille volti. C’era chi lo voleva ucciso in un casinò, chi da un bandito di una banda di pistoleros alla quale si era unito, e così via.

Vivo o morto, comunque sia, sparito nel nulla …