TRAMONTO TRAGICO [1923]

[Tratto dal romanzo inedito “Fuoco incrociato sulla mia generazione”]

Guardo, distrattamente, la mia sigaretta.

Esile, pallida e calda

come un’amante malata.

La vedo consumarsi lentissimamente

come la mia vita e i miei sogni:

come la vita e i sogni di tutti i miei fratelli.

La cenere cade a terra e si disperde. Così!

Il fumo s’innalza, denso e grigio, nell’aria

e si disperde pure. Così.

A me non rimane

che un po’ di nicotina gialla

sulle labbra amare. Così.

[…]

Entro il crepuscolo cupo

dell’anima mia

il mio rosso Demonio si desta.

Sento come un rivoletto di sangue amaro

scorrermi sulle labbra amare …

Ho un tragico presentimento …

Che avverrà nella notte?

Ma … le stelle

– le care stelle –

vedranno.

Oh, se potessi ancora una volta

ridere e maledire soltanto …

Ma vedo un lampo sinistro (un rogo?)

brillare nell’oscurità della notte.

Dovrò COLPIRE!

Lo sento …

Lo sento! Lo sento! Lo sento!

Io sono un astro che volge

verso un tramonto tragico.

[Renzo Novatore, da Ballata Crepuscolare, preludio sinfonico di “Dinamite”]

[Arcola, ottobre]

Renzo vagava già da un po’ di tempo tra i suoi amici boschi. I suoi sentimenti oscillavano tra un’indicibile malinconia e una rabbia incontrollabile – oscuri presagi – intorno a solitari falò, nascosto fra le montagne – le preziose sigarette fumate fino all’ultimo tiro, fino a scottarsi le dita – e pensieri, pensieri pieni di amore e di morte – pagine piene di scritti tragici.

Non era stanco, Renzo, era più, come dire, distratto. Sospirava, mentre si avviava nell’oscurità verso la sua casa di Arcola, verso sua moglie e i suoi figli. Emma e una notte d’amore, dopo quel che a lui era sembrato un secolo.

Gli era venuto da piangere, un attimo prima di addormentarsi tra le calde braccia di sua moglie, e prima di lasciarsi andare all’oblio di un sonno senza sogni.

Renzo venne strappato dal suo personale purgatorio da un rumore ben noto – il rombo del motore di diversi camion FIAT 18 BL.

Sono qui per me”, era stato il suo primo pensiero.

Poi era scattato in piedi – “la pistola e le bombe, dove sono?, cazzo, i vestiti dove sono?” – lo stava gridando o erano solo pensieri chiusi nella sua testa? – “in fretta, devo fare in fretta”. Emma lo osservava da sotto le lenzuola, gli occhi atterriti, non osava dire niente – lo sapeva cosa stava per succedere.

Si cominciavano a sentire quei canti maledetti che accompagnavano ogni spedizione punitiva.

Renzo si era tirato su i calzoni, aveva controllato il caricatore della sua pistola, si era messo la giacca elegante ormai lurida e ne aveva tastato le tasche per avvertire la confortante presenza delle due bombe SIPE – il tutto senza staccare lo sguardo dalla sua amata Emma. Poi, le si era accostato e le aveva sussurrato:

– Tornerò … presto …

Infine, si era precipitato giù per le scale, aveva tirato fuori le bombe, aveva tirato via la sicura, aveva aperto la porta e aveva cominciato a correre. Le camice nere stavano scendendo dai loro mezzi. Una bomba di qua e una di là. Esplosioni. Quelli si erano gettati istintivamente a terra e Renzo aveva continuato a correre con la pistola in pugno.

Era risuonato ancora qualche colpo d’arma da fuoco, ma Emma aveva avuto la certezza che lui ce l’aveva fatta. Ora i fascisti si sarebbero sfogati con lei e con la casa – ormai ci si era abituata e non le importava più. L’essenziale era che Renzo fosse ancora vivo. Si sarebbero rivisti, prima o poi.

[Novi Ligure, 25 novembre]

Era da qualche mese, precisamente dall’omicidio di Casalegno, che il maresciallo dei carabinieri Giovanni Lupano si era messo sulle tracce di Pollastro e di quelli della sua banda.

Sul luogo del delitto, secondo vari testimoni, uno dei banditi aveva lasciato il suo mezzo per fuggire con quello del povero portavalori. Le indagini erano iniziate proprio seguendo la pista di quella bicicletta.

La macchina sequestrata era una Maino di Alessandria. Un agente investigativo di Tortona, G. Bianchetti, si recò subito in quella città e trovò che la macchina tempo addietro era stata acquistata da uno di Novi. Nella nostra città, dove si portò immediatamente, in un primo tempo non riuscì a rintracciare il proprietario. Dopo, però, mascherato da contadino, fingendo di aver trovato la macchina abbandonata in campagna, si recò in tutti i negozi di riparazioni, esibendola e domandando se a qualcuno era nota la provenienza. Un piccolo garzone in un laboratorio disse: “Questa è la macchina di Nicolino”. L’abile funzionario respirò di soddisfazione pensando che le sue fatiche cominciavano ad aver successo. Ma riconosciutolo come funzionario di pubblica sicurezza, più nessuno volle fiatare e il piccolo garzone dovette essere condotto in camera di sicurezza, dove piangendo dette altre utili informazioni. D’accordo con la Questura e con i reali carabinieri della nostra città, si potè identificare il “Nicolino” in certo Comollo Silvio di Antonio, anni ventuno, che venne tratto in arresto. Contemporaneamente veniva arrestato il fratello a nome Comollo  Nicola, trovato in possesso di altra bicicletta. Ma costui venne subito rilasciato.”

[da Il Messaggero di Novi]

La pista era quella giusta, ma avevano beccato i Comollo sbagliati. Infatti, anche Silvio dovette infine essere rilasciato.

Il Comollo che il maresciallo Lupano cercava si chiamava Emilio, ed era il compagno della sorella di Sante Pollastro, Carmelina. Avevano tre figli ed abitavano in una cascina nel bosco della Frascheta, fuori Novi. Era lì che Sante andava a passare le notti, da un po’ di tempo a quella parte.

Ce ne mise di tempo, il maresciallo Lupano, a fare due più due e ad organizzare il piano per la cattura del famoso bandito. Forse gli arrivò una soffiata – anche se non è molto probabile.

I carabinieri accerchiarono la cascina, poi Lupano, accompagnato dal brigadiere Castioni, armi fuori dalla fondina, bussò alla porta della casa.

Gli aprì una giovane donna. Carmelina.

– Che volete …

Il maresciallo si fece strada scansandola con un braccio.

– Ci lasci entrare … stiamo cercando dei pericolosi latitanti …

– Ma qui non c’è nessuno …

Lupano non l’ascoltava già più, mentre avanzava verso la cucina – la pistola spianata e i nervi tesi.

Il brigadiere fece cenno a Carmelina di tacere.

All’improvviso, chiaro come un raggio di sole, si sentì un tonfo sordo. Poi un scoppio. E, subito dopo, il crepitio dei fucili dei carabinieri.

Lupano si precipitò alla finestra della cucina. Due individui scappavano correndo verso il bosco, sparando a destra e a manca.

L’esperto investigatore ruppe il vetro con la canna della pistola e prese la mira. Aveva solo qualche secondo prima che i banditi arrivassero fuori tiro. Lupano premette il grilletto – bang! – e vide uno dei due andare giù – l’altro che lo soccorreva, che lo abbracciava, che gli sussurrava qualcosa all’orecchio, che gli baciava delicatamente la fronte, che scattava in piedi con un balzo, che spariva nel fitto del bosco, lasciando il compagno morto steso sul prato, a meno di dieci metri da quella macchia che voleva dire salvezza.

Emilio Comollo ce l’aveva quasi fatta – gli mancavano dieci metri quando un proiettile vigliacco gli era penetrato nella schiena e lo aveva scaraventato altri tre metri più vicino alla boscaglia. Sante, che lo seguiva, aveva frenato la corsa e si era accucciato prendendolo per le braccia per aiutarlo a rialzarsi ma quello se ne era andato per sempre – lo aveva salutato con poche parole e un rapido bacio perchè le circostanze non permettevano altro, ed aveva sprintato con le sue gambe da ciclista senza bicicletta – “la pistola in tasca, e Girardengo nel cuore”, come si diceva allora a Novi tra la gente del Borgo.

Sante, mentre faceva perdere le proprie tracce, già meditava propositi di vendetta. Avrebbe avvertito gli altri perchè sapessero quello che era accaduto, perchè bisognava riorganizzarsi e passare all’azione – bisognava far capire a tutti, amici e nemici, che eravamo ancora vivi e vegeti e tutt’altro che vinti.

[Teglia di Rivarolo, Genova, 30 novembre]

Sante Pollastro non sa dove andare, ma va.

Attraversando gole e vallate. Di notte. A casaccio. E’ confuso per quel che è successo. Ci mette due giorni prima di poter tornare a pensare freddamente, a ragionare, a decidersi a prendere una direzione precisa.

Casa di Novatore ad Arcola.

Glielo deve a Renzo. Che sia almeno un compagno a dare ad Emma la tragica notizia. La storia dell’uccisione del suo Renzo.

Uno dei soliti appuntamenti di lavoro all’Osteria della Salute. Facciamoci un boccone prima di parlare di cose serie.

Sante e Renzo ordinano una zuppa. Dopo poco attaccano a mangiare come due lupi. Il loro ospite ancora non arriva.

I due lupi decidono di concedersi un secondo spuntino.

Invece del tipo che stanno aspettando, entrano tre uomini vestiti da operai. Due si dirigono sul tavolo alla destra, il solitario va verso quello di sinistra.

A Sante gli si agitano le antennine. Guarda Renzo. Quello continua a mangiare come se non si fosse accorto dei tre.

Era strano da un po’ di tempo, Renzo. Era chiuso in se stesso più del solito. Lupo. Forse da quando aveva ricevuto la notizia dei suoi compagni uccisi a Pisa. O di Argo Secondari. Era distratto dal pensiero della morte, Renzo.

Sante guarda le scarpe dei due alla sua destra. Altro che operai. Qua, meglio filarcela alla svelta. Sante scuote Renzo dal suo mangiare meccanico, dal suo torpore.

– Io vado a chiedere il conto …

Renzo capisce, ma è troppo tardi.

– Sante Decimo Pollastro! Ti dichiaro in arresto!

E’ subito il finimondo. Spari. Fumo. Tavoli rovesciati. Scheggie di vetro.

E’ Renzo il primo a cadere. Ha con se due rivoltelle e una bomba SIPE, ma non fa in tempo a metter mano ad una delle sue armi.

All’improvviso, il silenzio.

Sante vede l’amico morente. Sante vede anche il maresciallo Lupano, quello che ha ucciso suo cognato. Morto stecchito, con un bel foro in mezzo alla fronte. Si gira, e vede uno dei due finti operai sforacchiato dalle pallottole. E’ ancora vivo. L’altro era sicuoro di averlo ferito, ma non c’è. Sarà scappato a gambe levate a dare l’allarme.

Non c’è tempo per piangere. Sante guarda Renzo. Poi sente una voce vicino a lui. Anche se sembra venire dall’oltretomba.

– Pollastri … Pollastri … non mi uccidete …

Sante si rivolge al carabiniere travestito.

– Ti do un consiglio: cambia mestiere.

Poi si gira, corre sul retro, sfonda una finestra, si lancia e scompare.

L’allarme ci mette poco a scattare. L’Osteria della Salute viene circondata appena quindici minuti dopo il fattaccio.

Di Sante Decimo Pollastro nessuna traccia. Il carabiniere Giuseppe Marchetti steso in un lago di sangue ma ancora vivo. Il maresciallo Lucano indubbiamente morto. Un altro cadavere sconosciuto. Il complice del Pollastro, di sicuro. Lo perquisiscono. Addosso gli trovano due rivoltelle cariche, una bomba SIPE e documenti intestati a tale Giovanni Governato. In una successiva e più accurata ispezione, gli troveranno anche una dose letale di cianuro chiusa all’interno dell’anello che portava al dito medio della mano sinistra.

In poco tempo viene organizzata la caccia all’uomo. Non poteva essere andato molto lontano il Pollastro. Arrivano anche i miliziani in rinforzo. Battere le strade a raggiera, tutte le strade che dall’Osteria della Salute portano via lontano. Chiudere ogni via di fuga con posti di blocco. Presidiare tutte le stazioni ferroviarie della provincia.

In effetti, Sante non era andato molto lontano.

Si trovava appollaiato sopra ad un albero ad appena una sessantina di metri dall’Osteria della Salute. Ci rimase tutta la notte – fino a che non fu sicuro che la zona fosse relativamente tranquilla, e poi si incamminò – eroe tragico di un iliade da pezzenti, si incamminò verso i suoi amici monti. Nessuna meta. Solo fuggire.

Sante ora lo sa dove deve andare. Si è schiarito le idee. Si è ricordato che Renzo aveva con sè i documenti di Giovanni Governato. Conta sul fatto che questo gli dia un certo vantaggio.Non sanno ancora che si tratta di Renzo, alias Abele Ricieri Ferrari.

E’ sicuro di farcela.

Non sa per quanto tempo ha vagato senza senso. Non molto, decide. Gli sbirri ancora non sanno di chi è quel corpo là all’osteria. Non possono sapere che andrò a casa di Renzo. Un altro buon motivo per andarci. Sulla tappa successiva, ci avrebbe pensato in seguito.

Già un paio di chilometri dalla casa di Arcola, Sante capisce che non ce la farà mai. Sono in troppi che lo aspettano e lui è da solo. Carabinieri, camicie nere. Puzza di agguato lontano due chilometri.

Piano di riserva. Un misero bigliettino nelle mani di un compagno che abita nei dintorni, Erinne Viviani.

Sante il latitante, il ricercato glielo lascia. Non ha bisogno di spiegare niente. Il compagno ha già capito. Gli mette una mano sulla spalla – un abbraccio no, sarebbe già perdere troppo tempo.

Sante si gira e si perde in direzione dei monti.

Emma non lo vedrà mai.

Renzo Novatore non è più. E’ stato assassinato.

E’ caduto combattendo.

Non è stato ancora identificato; quando lo sarà, parlate di lui sui giornali, facendolo rivivere in una protesta.

Pensate anche a fare qualcosa per la sua famiglia.

Scusatemi. Non so cosa dirvi. Ho la testa in fiamme.

Saluti, vostro S.”

Fu così, tramite quel che era restato della fitta ragnatela che univa una volta i sovversivi della zona, che Emma ebbe un po’ di tempo per elaborare quel lutto da sola – prima che che un paio di guardie regie venissero a comunicarle la notizia ufficiale.